Il pugno duro della Cina dimostra perché Hong Kong fa bene a protestare

L'Alta Corte di Hong Kong giudica incostituzionale la legge anti-maschera emanata dal governo. Pechino risponde: «Solo noi possiamo interpretare la vostra Costituzione». Altro che autonomia

Se ce ne fosse ancora bisogno, oggi la Cina ha nuovamente dimostrato perché i giovani di Hong Kong hanno tutte le ragioni di essere preoccupati e di protestare. Il portavoce della commissione Affari legislativi del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo (Npcsc), il Parlamento fantoccio cinese, Zang Tiewei, ha dichiarato che l’Alta Corte di Hong Kong non ha il diritto di dichiarare una legge emanata dal governo della città autonoma «incostituzionale». Questo privilegio, continua, spetta solo a Pechino.

INCOSTITUZIONALE VIETARE DI COPRIRSI IL VOLTO

Il 3 ottobre la governatrice Carrie Lam aveva annunciato il divieto per i cittadini di portare maschere che coprono il volto in pubblico. Per mesi le maschere sono state indossate dai manifestanti per non farsi riconoscere dalla polizia e prevenire così l’ondata di abusi che ha caratterizzato la repressione delle proteste da parte delle forze dell’ordine di Hong Kong. Per attuare la misura, entrata in vigore il 5 ottobre, Lam ha fatto ricorso alle leggi di emergenza di derivazione britannica.

Ieri l’Alta Corte ha dichiarato la legge anti-maschera incostituzionale, facendo esultare il fronte democratico di Hong Kong. Commentando la sentenza, Zang ha dichiarato: «Le basi costituzionali di Hong Kong sono costituite dalla Basic Law e dalla Costituzione cinese. Solo la Npcsc può giudicare se le leggi di Hong Kong sono coerenti con la sua costituzione. Nessun’altra autorità ha il diritto di esprimere giudizi e prendere decisioni».

«MI ASPETTO CHE LA CINA INTERVENGA»

Come riportato dal South China Morning Post, il vicepresidente dell’Associazione cinese degli studi di Hong Kong e Macao, ha aggiunto: «Mi aspetto che il comitato permanente agisca molto presto e decida che [la legge anti-maschera] è in realtà in conformità con la Basic Law».

L’articolo 158 della mini Costituzione di Hong Kong prevede che il comitato permanente del Parlamento cinese abbia il potere di interpretare la Basic Law e che la magistratura della città autonoma segua questa interpretazione. La Npcsc ha dichiarato nel febbraio 1997 le leggi di emergenza di derivazione britannica come compatibili con la mini Costituzione. L’Alta Corte ha però affermato che in questo caso, in un momento in cui a causa degli scontri gli abitanti potrebbero essere in pericolo, la misura emanata dal governo è incostituzionale perché impone restrizioni alle libertà civili fondamentali dei cittadini.

L’AUTONOMIA DEI GIUDICI È LA CHIAVE

L’autonomia della magistratura di Hong Kong è uno dei principali capisaldi del modello “Un paese, due sistemi”, che concede alla città ampia autonomia da Pechino fino al 2047. È la base costituzionale che ha permesso a Hong Kong di prosperare come centro finanziario internazionale ed è il motivo per cui le grandi multinazionali continuano a preferire Hong Kong come sede ad altre città cinesi, dove la magistratura deve obbedire non alla legge ma al Partito comunista cinese, come più volte ribadito da Xi Jinping e dal presidente della Corte suprema della Repubblica popolare, Zhou Qiang: «L’obiettivo del sistema giudiziario in Cina è lavorare per salvaguardare la stabilità del regime e del sistema politico».

La legge sull’estradizione che ha innescato proteste oceaniche a giugno ha messo in pericolo proprio l’indipendenza della magistratura ed è per questo che le manifestazioni sono state appoggiate da due milioni di persone (1 cittadino su 4), comprese le grandi firme della finanza internazionale, cosa mai avvenuta prima a Hong Kong.

PECHINO RADICALIZZA I GIOVANI

L’insistenza con cui oggi la Cina sbatte in faccia ai magistrati di Hong Kong che non hanno il diritto di interpretare la Costituzione non è che l’ennesimo segnale che il segretario del Partito comunista Xi vuole porre fine al modello “Un paese, due sistemi” ben prima del 2047. Hong Kong ha paura di ritrovarsi anzitempo sotto il tallone del regime, il modo in cui il governo di Carrie Lam ha ignorato le legittime e pacifiche istanze della popolazione ha spinto i giovani a radicalizzarsi e a compiere azioni violente.

Ora Pechino usa il pugno duro e ricorda a Hong Kong che non sarà mai una vera democrazia, come invece previsto dalla stessa mini Costituzione che oggi il regime brandisce. Questo non farà che alimentare la paura ed esasperare ancora di più la protesta. Condannare le violenze dei giovani è giusto, come abbiamo più volte ribadito, ma non si possono ignorare le ragioni che gettano la popolazione di Hong Kong nella disperazione.

IL GRANDE INCONTRO DI TEMPI

Per capire davvero tutti i risvolti di queste proteste Tempi ha organizzato il 29 novembre a Milano (Pime, via Mosè Bianchi 94, ore 21) un grande incontro: “La libertà è la mia patria. Da Piazza Tienanmen a Hong Kong”. Oltre al missionario del Pime a Hong Kong dal 1991 Gianni Criveller, parteciperà Albert Ho Chun-yan, avvocato, ex presidente del Partito democratico di Hong Kong, direttore del Museo 4 giugno e presidente dell’Alleanza di Hong Kong.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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