Anche il Corriere snocciola i dati e ammette: l’ecatombe climatica non c’è

Se nel 1900 per siccità, alluvioni, bufere, incendi e terremoti morirono 1,27 milioni di persone e 1,56 nel 1966, dal 2012 «nonostante l'innalzamento delle temperature» non si sono mai superati i 30 mila morti. Merito di progresso e «crescita economica». Qualcuno lo dica a Greta

I cambiamenti climatici vanno combattuti, certo, ma è altrettanto importante adattarsi ad essi. Lo ha sostenuto di recente su Tempi Bjørn Lomborg, che dagli ambientalisti, specie i seguaci della parrocchia dell’Ipcc, è considerato alla stregua di un satanasso eretico. Lo ha scritto oggi su un giornale che non può certo essere tacciato di “negazionismo”, il Corriere della Sera, un columnist di livello come Danilo Taino.

«Nel 1900 milioni di morti, oggi neanche 30 mila»

Spiega l’editorialista e inviato in un pezzo dal titolo Si muore di clima ma pure di povertà (qui il Corriere poteva rispecchiare più fedelmente il contenuto dell’articolo, ma è già tanto che gliel’abbiano pubblicato):

«Più di una statistica racconta che, in effetti, il miglioramento delle condizioni di vita riduce il numero delle vittime e i danni provocati dall’innalzamento delle temperature. Our World in Data — la pubblicazione online legata all’università di Oxford — ha messo assieme una serie di dati interessanti sui disastri naturali. Il numero di morti causati nel mondo da siccità, alluvioni, bufere, incendi, frane, attività vulcaniche e terremoti dal 1900 a oggi è calato decisamente. Nel 1900, per esempio, fu 1,27 milioni, nel 1921 i decessi furono 1,20 milioni, 3,72 milioni nel 1931, ancora nel 1966 si contarono 1,56 milioni di morti. Da allora, però, in nessun anno si è superata la cifra di 500 mila, nonostante che il periodo sia quello di maggiore innalzamento delle temperature».

E ancora:

«Dal 2012 non si sono mai superati i 30 mila decessi l’anno, in qualche caso meno di diecimila. Tutti i tipi di disastro tendono alla riduzione con l’eccezione dei terremoti».

«Il costo dei disastri diminuisce dal 1990»

Il giornalista del Corriere aggiunge che «in termini di costi dei disastri da eventi legati ai cambiamenti del clima, la compagnia di riassicurazione Munich Re calcola che, dal 1990, la tendenza non sia verso un aumento, semmai verso una leggera riduzione. Già nel caso dei terremoti si nota che quelli più mortali riguardano paesi poveri, dove le case e le infrastrutture sono meno solide, i sistemi sanitari precari, l’organizzazione della risposta lenta: tra i dieci eventi che hanno provocato più morti, l’unico paese a economia avanzata è, al decimo posto, il Giappone…ma per un terremoto del 1923».

Anche per disastri legati al clima «i paesi più ricchi hanno meno morti: dal 1990, quelli ad alto reddito hanno registrato decessi minimi, praticamente sempre inferiori a 0,1 per centomila abitanti, con l’eccezione del 2011 nel quale si registrarono il terremoto e lo tsunami in Giappone. Per gli altri paesi si è spesso sopra a un morto per centomila abitanti, e in qualche caso si tocca il venti».

Anche la crescita combatte i cambiamenti climatici

Cifre che tendono a smontare il catastrofismo imperante sui media nei giorni “caldi” della Cop26 sulle disastrose conseguenze dell’innalzamento della temperatura e dei cambiamenti climatici. Cifre che confermano altresì come la crescita economica non sia affatto un male perché, conclude Taino, «senza crescita economica non c’è scampo ai cambiamenti del clima». Chi riporterà questo «bla bla bla» a Greta Thunberg?

Foto Ansa

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