«La verità ha un futuro, le ideologie no». La “vera Europa” di Benedetto XVI e il no alle nozze gay

La speranza passa dall'inquietudine dei cuori. Il nuovo libro del Papa emerito raccoglie le sue riflessioni sull'identità del Vecchio Continente e la missione della Chiesa

Papa Benedetto XVI in una foto del 2016 (Ansa)

«Il primo motivo della mia speranza consiste nel fatto che il desiderio di Dio, la ricerca di Dio è profondamente scritta in ogni anima umana e non può scomparire». È utile partire dalla fine, o quasi, e cioè da queste parole che Benedetto XVI disse in un’intervista dell’ottobre 2012. In un tempo in cui è facile lamentarsi perché le cose non vanno come dovrebbero, in cui parlare di crollo dell’Occidente e fine dei valori giudaico-cristiani è all’ordine del giorno, ed è comprensibile patire la sindrome dell’accerchiamento, riprendere il pensiero del Papa emerito sull’Europa aiuta a non cedere al pessimismo.

La «bellezza del cristianesimo»

«Le ideologie hanno un tempo contato», diceva ancora in questa intervista contenuta in “La vera Europa – Identità e missione”, volume appena pubblicato da Cantagalli che raccoglie testi scelti di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI dedicati al Vecchio e malandato Continente. Le ideologie «sembrano forti, irresistibili, ma dopo un certo periodo si consumano, non hanno più la forza in loro, perché manca loro una verità profonda».

La speranza, dice, passa dall’inquietudine dei cuori: «I giovani hanno visto tante cose – le offerte delle ideologie e del consumismo –, ma colgono il vuoto in tutto questo, la sua insufficienza. L’uomo è creato per l’infinito. Tutto il finito è troppo poco. E perciò vediamo come, proprio nelle nuove generazioni, questa inquietudine si risveglia di nuovo ed essi si mettono in cammino, e così ci sono nuove scoperte della bellezza del cristianesimo». Ma proprio perché «la verità ha sempre un futuro» Benedetto XVI non si esime dal giudicare fatti, decisioni, sentenze e politiche di una Europa che «deve trovare ancora la sua piena identità per poter parlare e agire secondo la sua responsabilità».

L’identità da trovare dell’Europa

Nelle oltre 260 pagine del libro Ratzinger parla di democrazia e modernità, diritto alla vita, liberismo e comunismo da superare, dell’illusione svanita del ’68, di educazione, laicità e laicismo, principi non negoziabili. «Il problema dell’Europa di trovare la sua identità mi sembra consistere nel fatto che in Europa oggi abbiamo due anime: un’anima è una ragione astratta, anti-storica, che intende dominare tutto perché si sente sopra tutte le culture. Una ragione finalmente arrivata a se stessa che intende emanciparsi da tutte le tradizioni e i valori culturali in favore di un’astratta razionalità».

«L’altra anima è quella che possiamo chiamare cristiana, che si apre a tutto quello che è ragionevole, che ha essa stessa creato l’audacia della ragione e la libertà di una ragione critica, ma rimane ancorata alle radici che hanno dato origine a questa Europa, che l’hanno costruita nei grandi valori, nelle grandi intuizioni, nella visione della fede cristiana». Partendo da questi presupposti, Benedetto XVI non ha paura di giudicare tutto, e non risparmia nessuno: le conferenze sul clima, il pacifismo, l’onnipresenza della tecnica intesa come «veicolo della libertà radicale degli uomini», l’omologazione alla moda, la responsabilità sociale e politica della fede.

L’umanesimo dell’incarnazione

Come fa notare papa Francesco nell’introduzione, «alla base dell’Europa, della sua creatività, della sua sana prosperità e, prima di tutto, della sua umanità c’è l’umanesimo dell’incarnazione; scrive Joseph Ratzinger che “la figura di Gesù Cristo sta al centro della storia europea ed è il fondamento del vero umanesimo, di una nuova umanità. Perché se Dio è divenuto uomo, allora l’uomo acquisisce una dignità del tutto nuova. Se l’uomo invece è solo il prodotto di un’evoluzione casuale, allora la sua stessa umanità è un caso e così a un certo punto sarà possibile sacrificare l’uomo per scopi apparentemente superiori. Ma se Dio però ha creato e voluto ogni singolo uomo, le cose stanno in modo completamente diverso”».

Nel libro c’è un solo testo inedito di Benedetto XVI, una seconda introduzione dopo quella ufficiale di Francesco. Il brano, scritto quest’anno, affronta uno dei temi più discussi e – perdonate la parola – divisivi degli ultimi anni:

Con la legalizzazione in sedici Stati europei del “matrimonio omosessuale”, il tema matrimonio e famiglia ha assunto una nuova dimensione che non si può certo ignorare. Si assiste a una deformazione della coscienza che evidentemente è penetrata profondamente in settori del popolo cattolico. A questo non si può rispondere con qualche piccolo moralismo e nemmeno con qualche rimando esegetico. Il problema va in profondità e dunque deve essere affrontato in termini di fondo.

Il Papa emerito parla di «una rivoluzione culturale che si contrappone a tutta la tradizione dell’umanità sino a oggi. Non c’è dubbio che la concezione giuridica e morale del matrimonio e della famiglia differisce straordinariamente nelle culture del mondo. […] E tuttavia mai è stata messa in dubbio la comunità basilare, il fatto che l’esistenza dell’uomo – nel modo di maschio e femmina – è ordinata alla procreazione, nonché il fatto che la comunità di maschio e femmina e l’apertura alla trasmissione della vita determinano l’essenza di quello che è chiamato matrimonio».

Questa «certezza originaria che sino a oggi è stata ovvia per l’umanità» è stata sconvolta quando «con la pillola, è divenuta possibile in termini di principio la separazione tra fecondità e sessualità». Non si tratta di discuterne o meno l’accettazione da un punto di vista morale, spiega Ratzinger, ma di osservare la «novità fondamentale che essa come tale significa: vale a dire proprio la separazione in termini di principio tra sessualità e fecondità. […] Se la sessualità viene separata dalla fecondità, allora, all’inverso, la fecondità può naturalmente essere pensata anche senza la sessualità. Sembrerà giusto, allora, non affidare più la procreazione dell’uomo alla occasionale passione del corpo, bensì pianificare e produrre l’uomo razionalmente. Questo processo, per cui gli uomini non vengono più generati e concepiti ma fatti, è nel frattempo in pieno svolgimento. Questo tuttavia significa allora che l’uomo non è più un dono ricevuto, ma un prodotto pianificato del nostro fare. D’altra parte, quello che si può fare lo si può anche distruggere. In questo senso, la crescente tendenza al suicidio come fine pianificata della propria vita è parte integrante del trend descritto».

Non è questione allora di essere più o meno “aperti” alla faccenda, «si pone piuttosto la domanda di fondo: chi è l’uomo?». Andare a fondo della questione, scrive Benedetto XVI, pone di fronte a «questa alternativa: o l’uomo è creatura di Dio, è immagine di Dio, è dono di Dio, oppure l’uomo è un prodotto che egli stesso sa creare. Quando si rinuncia all’idea della creazione, si rinuncia alla grandezza dell’uomo, si rinuncia alla sua indisponibilità e alla sua dignità che è al di sopra di ogni pianificazione».

Manca un’ecologia dell’uomo

Curioso come in un momento in cui l’ecologismo «ha scoperto il limite di quello che si può fare e ha riconosciuto che la “natura” stabilisce per noi una misura che non possiamo impunemente ignorare […] non si è ancora concretizzata “l’ecologia dell’uomo”. Anche l’uomo possiede una “natura” che gli è stata data, e il violentarla o il negarla conduce all’autodistruzione». In un volume di riflessioni dedicate all’Europa non è certo un caso, o un vezzo, che Benedetto XVI abbia scelto di parlare di questo tema. «Mi sembra che sia importante», conclude, «riflettere sulla questione secondo quest’ordine di grandezza. Solo così renderemo giustizia di fronte a Dio del compito affidatoci per l’uomo».

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