L’Atm pensi a far funzionare la metro invece che a indottrinarci

Il manifesto della campagna pubblicitaria di Atm per la diversità

Il manifesto più subdolo di tutta Milano è quello che Atm (l’Azienda dei trasporti milanese) ha affisso sulle banchine delle fermate della metropolitana. Consiste nella foto di un gruppo di dipendenti dell’azienda fiancheggiato su due lati da vecchi tram bianchi e gialli, sovrastata dalla scritta «La diversità ci rende unici». Sotto all’immagine, in piccolo, un’altra scritta: «Genere, età, origini, credo, abilità, scelte personali: segni della nostra unicità. Per noi di Atm sono un valore. E anche un impegno».

Apparentemente il messaggio del manifesto è molto stupido: cosa interessa ai passeggeri se il conducente del treno è omosessuale o eterosessuale, se l’operaio della manutenzione è bianco o nero, se la donna delle pulizie è cristiana o musulmana, se l’ingegnere dei rotabili ha deciso di cambiare sesso, se il Brambilla si fa i tatuaggi o se Aisha porta il foulard islamico? Ai passeggeri importa la sicurezza dei trasporti, la puntualità, l’accessibilità se è anziano o portatore di handicap (e questa l’Atm “diversa” e “unica” non sempre la garantisce, come testimoniano tanti articoli sulle pagine locali dei quotidiani e del web), il funzionamento delle macchinette da cui si acquistano i titoli di viaggio, il prezzo possibilmente modico dei biglietti e degli abbonamenti. Che queste cose siano garantite da uno staff tutto di bianchi o tutto di neri o variegato, a chi viaggia non importa una cippa: la metropolitana deve funzionare, non deve vincere l’Oscar (dal 2024 a Hollywood saranno premiati solo i film “inclusivi”, cioè quelli che hanno un numero prestabilito di esponenti delle “minoranze” nel cast).

Meno prediche, più sicurezza

Da anni chi entra in una vagone della metropolitana milanese rischia la sua incolumità a causa di frenate di emergenza non azionate dai passeggeri, prodotto di problemi tecnici mai risolti: l’ultimo esempio risale al 21 dicembre scorso, quando 12 persone sono rimaste ferite a causa di una brusca frenata nei pressi della stazione Cairoli. Tutti i milanesi vorrebbero che questo problema fosse definitivamente risolto, e non importa se da un ingegnere bianco, anglosassone e protestante, oppure nero, immigrato e musulmano. Forse la soluzione non è ancora stata trovata perché prima Atm deve preoccuparsi della palese diseguaglianza che ha caratterizzato l’ultimo incidente: ben 11 dei 12 feriti era costituito da donne; inaccettabile, in termini di parità di genere…

Quando salgo sul solito tram non mi accerto che sia stata effettuata una rotazione fra conducenti uomo e donna, che almeno una volta alla settimana a pilotare ci sia qualcuno con l’aria da immigrato o figlio di immigrati, né mi accerto dei suoi gusti sessuali (per verificare che siano tutti rappresentati almeno in percentuale congruente con le risultanze dei sondaggi e delle statistiche italiane in materia). Piuttosto cerco di capire se il conducente sia tranquillo o nervoso, sobrio o affaticato, eccetera: qualità che non hanno a che fare con la diversità o con l’unicità, ma con le caratteristiche universali che consentono ai trasporti pubblici di funzionare in modo corretto e in condizioni di sicurezza. È a queste caratteristiche universali che Atm deve dedicare il suo asserito “impegno”, non all’irrilevante (in questo contesto) “diversità”.

Le differenze non sono indifferenti

Chi e perché, allora, ha sentito il bisogno di affiggere una pubblicità dai contenuti puramente ideologici lungo i binari della metropolitana milanese? Qualcuno che usa Atm e i soldi dei contribuenti milanesi per imporre le sue idee ai cittadini, qualcuno che si fa pagare dal denaro pubblico il manifesto ideologico in cui si riconosce e del quale pretende la massima diffusione. E il messaggio non è che le differenze sono importanti, ma esattamente il contrario: le differenze non contano, tutto è uguale a tutto, nessuna scelta può essere discussa.

Eppure ci sono tante diversità che non sono affatto irrilevanti, e che meriterebbero di essere discusse. La signora musulmana che lavora in Atm potrebbe spiegarmi che se si vuole andare in Paradiso è meglio seguire il Corano che la Bibbia, e io potrei risponderle che non mi ha convinto, e fra noi si aprirebbe un dialogo o una discussione della massima importanza, perché in gioco ci sarebbe niente meno che la nostra salvezza eterna.

Il signore che insieme al suo compagno ha intenzione di procurarsi un figlio affittando l’utero di una donna in un qualche paese straniero potrebbe convincermi che due uomini o due donne possono garantire lo sviluppo psico-affettivo (per non parlare di quello materiale) di un bambino tanto quanto una coppia formata dai due sessi, e io potrei cercare di dimostrargli che non è così, e che la maturità psico-affettiva del bambino ha bisogno di relazionarsi con la differenza fra il maschile e il femminile. Non sarebbe una discussione di poco conto, perché riguarderebbe il futuro della paternità e della maternità nel nostro mondo.

Se le scelte diventano indiscutibili

Con chi ha redatto i testi del manifesto vorrei discutere del perché abbia scelto di usare la parola “genere” e abbia invece escluso dalla lista di ciò che mobilita l’“impegno” di Atm la parola “sesso”, come se quest’ultima non avesse a che fare col concetto di differenza; gli chiederei conto dell’occultamento del dato biologico a vantaggio della percezione esclusivamente psicologica. Anche questa sarebbe una discussione di grande portata, erede di un conflitto filosofico e religioso plurimillenario: il rigetto della materia e del corpo come entità irredimibili, la loro sostituzione con princìpi spirituali o con una conoscenza di tipo superiore sono oggetto di diatribe che affondano nella notte dei tempi e che noi conosciamo nella parte che riguarda il conflitto fra cristianesimo e gnosticismo.

Ebbene, il vero obiettivo del manifesto di Atm è quello di impedire questo genere di discussioni e di imporre invece l’idea che tutte le differenze e tutte le scelte sono valide e indiscutibili, cioè in realtà le differenze non esistono. E da cosa si dovrebbe dedurre questa conclusione? Dal fatto che Atm funziona perfettamente (per modo di dire) nel mentre che si dà il programma di essere un’antologia di tutte le differenze. Il paralogismo del ragionamento è palese, lo abbiamo mostrato all’inizio del discorso, ma gli autori del manifesto puntano sull’emozione, sulla suggestione: i treni sfrecciano perfettamente sulle rotaie sia quando li guida un transessuale che quando li guida un cisgender, quindi…

Il totalitarismo della tolleranza

La vera diversità è quella che ti sfida, che mette in discussione le tue scelte e quello che pensi di sapere, che spinge al confronto per ricercare ciò che è più giusto; quando diventa un puro tratto identitario che non può essere modificato, viene meno la considerazione dell’uomo come essere razionale e ragionante. Resta solo la ricerca del potere: ogni identità, ogni gruppo piccolo o grande si organizzerà per ottenere la fetta più grossa della torta. In un clima sempre più totalitario: tutti siamo obbligati al consenso sul fatto che le differenze non devono essere oggetto di discussione e che siamo tutti uguali (altro che unici…) anche se siamo diversi.

Vale in generale quello che ha scritto Adrien Candiard a proposito delle differenze di fede religiosa:

«La vera posta in gioco della tolleranza non è constatare che tutti gli uomini mi assomigliano, sarà invece accettare di rispettare anche quelli che non mi assomigliano affatto. Ciò presuppone una presa d’atto: che le differenze che ci distinguono sono profonde, enormi. Devo dunque accettare di pensare che si può davvero pensare in altri modi, essere in disaccordo con me, e non a motivo di semplici malintesi da dissipare. Il sincretismo, che vuole ricondurre tutte le diversità all’unità, con la sua aria di elevata tolleranza è veramente più totalitario: preclude la stessa possibilità teorica di disaccordo!».

@RodolfoCasadei

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