Assegno unico: famiglie premiate o penalizzate?

Il debutto rinviato da Draghi, i soldi che mancano, le criticità dell'Isee: davvero tutti avranno di più? Ecco cosa sappiamo della riforma che vuole riconoscere ai figli lo status di "bene" per la comunità

Stretta di mano tra papa Francesco e Mario Draghi agli Stati generali della natalità, Roma, 14 maggio 2021

Adesso che è slittato, cosa sappiamo veramente dell’assegno unico universale? In attesa dei decreti attuativi, previsti per giugno, fioccano le simulazioni, gli allarmi sugli effetti distorsivi, le proposte di correzione. Eppure si sa ancora poco della misura più attesa dalle famiglie italiane, una macchina complessa da avviare, una riforma ancora “in fase di costruzione”.

Il problema? La ritardata approvazione della legge delega 41/2021, la corsa a smontare l’impianto delle detrazioni, il reperimento delle risorse. Ad oggi i circa 20 miliardi di euro messi sul piatto – recuperati dalla soppressione delle attuali forme di sostegno riconosciute alla famiglia, dalle detrazioni Irpef ai bonus bebè agli assegni familiari, più altri 6 miliardi stanziati dalla legge di Bilancio – non sono sufficienti a raggiungere il target dei 250 euro al mese per ogni figlio (se disabile anche di più) promessi in prima battuta da Mario Draghi a partire dal 1° luglio. Non per tutti, non così.

La misura ponte da luglio

È stato lo stesso Draghi a confermare lo slittamento durante il suo intervento agli Stati generali della natalità: «Da luglio la misura entrerà in vigore per i lavoratori autonomi e i disoccupati, che oggi non hanno accesso agli assegni familiari». I lavoratori dipendenti dovranno invece aspettare il 1° gennaio 2022. Non si conoscono ancora modalità di accesso, erogazione e percezione dell’importo fruibile, e nemmeno l’ammontare degli importi: si tratta ancora di «una misura ponte», ha spiegato il ministro per la Famiglia Elena Bonetti.

Quello che si sa è che chi fino ad oggi era escluso da ogni beneficio – circa 440 mila nuovi genitori, tra lavoratori autonomi e professionisti che non venivano raggiunti dalle precedenti misure di sostegno, e disoccupati (inclusi i destinatari del reddito di cittadinanza) – riceverà per primo un assaggio della riforma. Probabilmente una sorta di “assegno semplificato”, con un importo che potrebbe scalare in base al reddito (si parla di un assegno medio tra i 100 e 140 euro a figlio a seconda che la misura assorba già o meno i benefit pubblici). Un contributo di passaggio appunto, in attesa che venga smantellato il vecchio sistema di detrazioni e contributi, che 7 milioni e mezzo di famiglie entrino in possesso del calcolo del proprio reddito Isee, e che debutti, finalmente, l’assegno unico universale.

Dalla gravidanza ai 21 anni

Una volta a regime l’assegno mira infatti a razionalizzare e semplificare le forme di sostegno riconosciute oggi alla famiglia in un un’unica misura da corrispondere (credito di imposta? Bonus erogato dall’Inps? Somma di denaro? Ancora non si sa) per ogni figlio. L’accesso alla misura è previsto a partire dal settimo mese di gravidanza (oggi gli assegni familiari vengono percepiti solo a partire dalla nascita) e fino ai 21 anni del figlio, a prescindere dalle “condizioni” dei genitori-contribuenti.

Come quali importi? Anche questo lo stabiliranno i decreti attuativi. Ad oggi sappiamo che sono previste maggiorazioni (si stima fino a 300 euro annui) per tutte le famiglie italiane a partire dal terzo figlio; per tutti i figli disabili (un’aliquota compresa tra il 30 e il 50 per cento, graduata secondo la classificazione della disabilità, fino al 21esimo anno di età, dopo di che si percepisce l’importo base) e per le per le giovani madri che hanno meno di 21 anni. L’ammontare dell’assegno verrà invece ridotto (fino al 40 per cento) per i figli maggiorenni e su richiesta potrebbe essere erogato direttamente a loro, purché si tratti sempre di ragazzi a carico della famiglia.

Famiglie premiate o penalizzate?

Quanto alla somma percepita, sono numerose le ricerche che in queste settimane hanno denunciato a più riprese la necessità di una “clausola di salvaguardia”. Stando alle simulazioni riprese dai giornali (da quelle di Arel, Fondazione Gorrieri e Alleanza per l’infanzia, a quelle dell’Istat a quelle delle Acli) 1,35 milioni di famiglie con reddito da lavoro dipendente riceverebbero infatti un importo inferiore rispetto a quello percepito ad oggi con le misure vigenti. Non solo le risorse stanziate ad oggi costringerebbero gli esperti a rivedere le stime al ribasso (161 euro in luogo di 250 euro al mese), ma una volta raggiunto il target in molti potrebbero essere comunque penalizzati dalla riforma.

Già prima che l’assegno diventasse legge, l’Istat aveva affrontato il problema in commissione Affari sociali della Camera stimando per il 29,7 per cento delle famiglie italiane un saldo negativo tra l’introduzione della nuova misura e l’abolizione delle preesistenti. Una stima che ha imposto al governo di ipotizzare in primis una riduzione dell’importo dell’assegno unico “per scaglioni”, al crescere dell’Isee della famiglia: senza vincoli di reddito Isee e con un importo base dell’assegno pari a 240 euro al mese, calcolava il presidente Gian Carlo Blangiardo, le risorse necessarie dovevano infatti raddoppiare.

Le criticità dell’Isee

Anche la Fondazione studi dei Consulenti del lavoro è tornata sull’allarme Istat, stimando oggi il rischio di un peggioramento del livello di aiuti, oltre che per le famiglie con figli over 21 anni, per le famiglie molto numerose (la scala di equivalenza dell’Isee dal quarto figlio contempla coefficienti molto poco generosi) e per le coppie di fatto. Nonché per i nuclei “non poveri” che perderebbero il minimo di detrazioni fiscali (banalmente la possibilità di detrarre la retta dell’asilo nido) a fronte di un sostegno irrisorio.

Se oggi infatti gli assegni familiari percepiti in busta paga vengono decisi con una circolare annuale Inps che tiene conto solo del reddito da lavoro dipendente, ancorare la nuova misura al reddito Isee e alla situazione economica della famiglia presenterebbe diverse criticità. Dallo scoraggiare uno dei due genitori a cercare o tenersi un lavoro per non abbassare la soglia del contributo pubblico, fino al penalizzare chi cerca di risparmiare o ha messo via un gruzzoletto per il futuro dei propri figli o chi possiede o eredita proprietà immobiliari.

Vecchi bonus e nodi al pettine

Si tratta, ripetiamolo, ancora di simulazioni e previsioni: poco si sa dei tecnicismi necessari agli esperti per cercare di far quadrare i conti tra risorse necessarie e importi disponibili perché nessuno abbia da perdere. Sappiamo che nel dettaglio la nuova misura eliminerà l’assegno spettante ai nuclei con almeno tre figli minori (e un Isee inferiore ai 9 mila euro); l’assegno di natalità (scaglionato per fasce di reddito); il premio alla nascita o all’adozione, il fondo di sostegno alla natalità (ovvero l’accesso al credito alle famiglie con uno o più figli fino a tre anni o fino a tre anni di adozione). Che eliminerà le detrazioni Irpef per figli a carico e l’assegno per il nucleo famigliare (che dipende da reddito e numero dei componenti della famiglia).

Non sappiamo – questo no – se sarà un assegno a convincere i giovani a investire nella genitorialità. Ma sappiamo che riconoscere a un figlio lo status di bene di una comunità (e non di costo privato a carico solo dei suoi genitori), in un paese in pieno collasso demografico, è il punto di partenza. Servono le risorse ora, non una di meno di quelle necessarie. Ma anche l’applicazione di un vero principio di equità che, al netto dell’elemosina elargita alla famiglia dallo Stato tra un finanziamento a pioggia e l’altro (non uno degli ultimi 24 bonus per colf o monopattini richiedeva un Isee), possa rifondare una idea di comunità perduta in Italia da oltre mezzo secolo.

Foto Ansa

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