«Allah perdona tutto». Viaggio tra gli ex terroristi di Boko Haram

Sono 153 gli ex combattenti di Boko Haram che popolano un centro di riabilitazione in Niger. «Ho imparato a uccidere, ci ho preso gusto, guadagnavo bene. Volevo andare in paradiso»

Baba Gana, musulmano nigeriano di 32 anni, voleva solo ritrovare il suo camion rubato da Boko Haram. Ma quando ha incontrato nel 2014 i terroristi islamici e questi gli hanno offerto 35 mila naire a settimana, circa 82 euro, si è arroulato. La sua base si trovava su Dogon Chuku, un’isola del lago Ciad, confine naturale tra Nigeria e Niger. Al seguito del leader Abubakar Shekau «ho imparato a uccidere e ci ho preso gusto. Mi sentivo potente. Ho ucciso molte persone, altre le ho rapite. Mi divertivo con le donne. Lo facevo per la religione, poi ho capito che era un business».

CENTRO DI RIABILITAZIONE. Oggi Baba Gana ha abbandonato l’organizzazione terroristica e da otto mesi vive in un campo di riabilitazione per ex combattenti in Niger insieme ad altri 153 pentiti o presunti tali. «Ho imparato più a uccidere che a leggere il Corano», ha dichiarato all’inviato del Monde l’ex terrorista, che ha lasciato Boko Haram quando il governo del paese africano gli ha promesso l’amnistia per i crimini commessi e un lavoro. «Il governo deve onorare le sue promesse, insegnarci un mestiere e liberarci. Io gli ho creduto, anche se per ora non ho avuto niente in cambio».

«OTTIMA PROPOSTA». Insieme a lui, nel campo per ex terroristi, c’è anche Moustapha Abubakar, originario di un piccolo villaggio del Niger. «Gli uomini di Boko Haram andavano e venivano per reclutare combattenti. Mi hanno fatto un’ottima proposta, avevo 26 anni, e ho accettato. Tutto qui». Trasferitosi in Nigeria, pur non essendo bravo col fucile, per la sua prestanza fisica ha partecipato a diversi combattimenti contro l’esercito nigeriano e camerunense, oltre a prendere parte a un massacro come quello di Baga Kawa, nel gennaio del 2015.

ISIS PAGA MEGLIO. L’anno scorso, ha abbandonato la fazione di Shekau per unirsi a quella di Mamane Nur, appoggiata dallo Stato islamico. Qui veniva pagato di più e venne nominato comandante di una brigata composta da 50 uomini. «Potevo avere molte donne e una vittoria militare mi portava a guadagnare anche 100 mila naire (235 euro circa)», continua. «Nei rifugi non ci mancava nulla. Per comprare qualunque cosa incaricavamo i pastori peul (etnia musulmana, ndr) di commerciare per noi con i villaggi».

IL RUOLO DELL’ISLAM. Abubakar viveva bene ma doveva uccidere e la religione lo aiutava ad accettare questo compito. I jihadisti gli hanno insegnato che l’unica setta di musulmani su 73 che sarebbe andata in paradiso, secondo un famoso hadith, era proprio quella di Boko Haram. Prima di imbracciare le armi contro i nemici, inoltre, recitava sempre: «Quando muori sul campo di battaglia, vai in paradiso. Quando scappi, vai all’inferno». La promessa del paradiso è un elemento non trascurabile, ma fondamentale per convincere i giovani musulmani a unirsi alla causa: «Prima mi guadagnavo bene da vivere vendendo in città quello che pescavo sul lago», racconta Modou Kou, ex combattente di 27 anni. «Ma ero stanco della mia vita. Volevo morire per Dio e Boko Haram rappresentava il cammino più breve per andare in paradiso».

VERI PENTITI? Oggi Abubakar si dice pentito: «Quando ho visto i campi di sfollati ho compreso tutto il male che avevo fatto e sono scoppiato a piangere», giura, pensando alle 20 mila persone che Boko Haram ha ucciso dal 2009 e agli oltre 2,6 milioni di sfollati creati attraverso la distruzione di villaggi e città. Ma la maggior parte degli inquilini del campo di riabilitazione non sono affatto dispiaciuti: «Allah perdona tutto», si limitano a dire, segno che la rieducazione avrà bisogno di molto tempo e molti sforzi prima di fare effetto.

@LeoneGrotti

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