Ai neri ciò che è dei neri, ai bianchi sberle, ai gialli, beh, ci penseremo

L'omicidio di George Floyd e il problema di una informazione ossessionata dal servirci la dose quotidiana di buona coscienza su razzismo e antirazzismo

L’epopea della fase 2 / 12

George Floyd, Francesco Guccini, Paolo Mieli, Jair Bolsonaro. Nella prima di quattro modeste ricognizioni che proverei a sviluppare senza troppa fretta nei prossimi giorni, mi trovo davanti alla morte e ai funerali che hanno sconvolto l’America. La morte e i funerali di George Floyd.

Conosco una ragazza californiana, una bella ragazza, e di successo in società, che per esprimere solidarietà antirazzista alle persone di colore ha scritto un post in cui si dice orgogliosa di appartenere a una «famiglia multirazziale». «Mio padre è un immigrato, i miei cugini sono afroamericani, mia madre è una donna».

“Multirazziale” come sinonimo del fatto che «mia madre è una donna»? Propaganda introiettata. Come sarà successo? E costoro che hanno cominciato a mappare le statue di Londra? Poi vanno a informarsi su Wikipedia e tirano giù il monumento al ministro per le colonie Cecil Rhodes, chi sono, dove hanno studiato, cosa pensano di raddrizzare di tutta la storia del mondo?

Qualche ora fa, mi informa un’agenzia, sempre nel quadro delle proteste cosiddette “antirazziste”, «manifestanti del Black Lives Matter a Richmond, in Virginia, hanno abbattuto la statua dedicata a Cristoforo Colombo in un parco cittadino. Dopo averla gettata in una fontana, hanno sostituito il monumento con la scritta: “Colombo rappresenta il genocidio”». Davvero sono così  ignoranti e non hanno visto neanche Apocalypto di Mel Gibson?

«È l’ora della giustizia razziale». Così Joe Biden. E cosa sarebbe secondo il possibile prossimo presidente degli Stati Uniti la “giustizia razziale”? Dare ai neri ciò che è dei neri, ai bianchi sberle, ai gialli, beh, ci penseremo? Perché, almeno in Occidente, le autorità intellettuali e politiche, giornali e televisioni, si sono messi tutti virtualmente in ginocchio, ma anche per strada, nei campi di calcio e di golf, davanti a un principio sacrosanto (antirazzismo) manifestato spesso in dichiarazioni e manifestazioni di razzismo volgare, ignorante e violento?

Il problema non è più l’ideologia, il furore dei liberal, il mondo alla rovescia che si scatena per il video di un assassinio in diretta che provoca orrore e indignazione per la banale brutalità con cui è stato commesso (tra l’altro, questi qui dei video, mai una volta che provassero a dare una mano invece di continuare a filmare) e perché gli assassini sono dei poliziotti.

Il problema non è neanche l’ovvietà tragica che la struttura del globalismo social è fatto per cavalcare l’onda emotiva e per scavallare ogni ricerca dei fatti, stare di guardia ai fatti, cose nominate secondo i fatti.

Il problema sono l’autocensura e le epurazioni nel giornalismo. Il problema è che da quarto potere che era non è rimasto neanche l’anticamera di Facebook. Il problema è che fatti e persone sono solo una informazione nella testa dei big data.

Il problema, tanto per esemplificare, è che 24 ore dopo Floyd viene freddato a colpi di neanche identificate “armi da fuoco” David Dorn, vecchio poliziotto afroamericano sceso in strada per difendere un negozio preso d’assalto dagli hooligan “antirazzisti”. Ed è un morto che non pesa niente sulla bilancia dell’antirazzismo, perciò non è commentabile, non fa notizia e, anzi, quasi quasi la Cnn intende che se l’è cercata.

Il problema è una informazione Peter Pan ossessionata dal servire al pubblico la dose quotidiana di buona coscienza (e veloce, in formato Amazon), piuttosto che la completezza di una notizia con le sue essenziali cinque “W”. Possibile che dalla cima dei candidati alla Casa Bianca alla cima di Facebook, nessuno riesca a concepire un pensiero in modalità e approfondimento alla afroamericano Dennis Rodman, che insegna al direttore bianco e liberal del New York Times che violenza e saccheggi non sono “antirazzismo” ma bestialità?

«Non devi andare a bruciare cose, rubare cose, distruggere cose e fare cose del genere, non siamo fottuti animali, siamo esseri umani». 

Se ci fosse stato lo spazio per ragionare e il disastro da Covid non avesse serrato le menti fino a decretare il lockdown del senso di realtà, ciascuno avrebbe potuto intendere che George Floyd non è stato ucciso dal razzismo, ma dalla stupidità. Che è qualcosa anche di peggio e di più atroce del razzismo. Che se ti dico e ti ripeto: «Signore, non riesco a respirare» e tu non allenti almeno un po’ la pressione del ginocchio non sei un razzista. Sei un criminale idiota. E stop.

Perché se tu, Derek Chauvin, non avessi mollato la pressione sul collo di George Floyd giusto per odio razziale o perché credevi di averci visto brillare un diamante e glielo volevi rubare con la banale scusa che il negro aveva tentato di imbrogliare la cassiera di un supermarket piazzandole 20 dollari falsi, saresti solo un ladro e un assassino in divisa. Mentre tu, Derek Chauvin, poliziotto del ginocchio sul collo per 8 minuti e 46 secondi, sei sembrato proprio soltanto un perfetto idiota. Uno che davanti a un bestione ne chiama altri tre di rinforzo, lo butta giù e mette il pilota automatico della repressione anche quando gli occhi dell’uomo che sta sotto gli escono fuori dalle orbite e seguitano a implorarti con un filo di voce sempre più soffocato, «signore, non riesco a respirare».

Per essere razzisti, come tutti inizialmente lo siamo nei confronti di chiunque non sia dei “nostri”, bianchi o neri o gialli o lombardi o sardi che siano i “nostri”, bisogna darsi una sorta di pensiero e avere una sorta di visione del mondo. Per un assassinio da idioti c’è solo da chiamare in causa il mistero dell’iniquità. O della banalità del male. Infatti, dopo George Floyd, quante volte succederà e poi «niente sarà più come prima»?

Foto Ansa

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