Aborto, la Spagna ha paura delle unghie di un bambino

Punire col carcere chiunque preghi o dia informazioni nei pressi di una clinica dove si eseguono interruzioni di gravidanza. Nell'happy end del Psoe, tutto autodeterminazione, diritti, eutanasia, non c'è posto per la sfigata prolife che fa cambiare idea a Juno

Ellen Page, nei panni di Juno, esce dalla clinica abortiva col bimbo in pancia dopo che una coetanea prolife le dice: «Il tuo bambino ha già le unghie»

«Non permetteremo loro di decidere con i rosari cosa fare con le nostre ovaie»: il virgolettato è della deputata catalana Mireia Vehí e non risale agli anni Settanta ma all’euforia con cui il parlamento spagnolo si sta preparando «a depenalizzare definitivamente l’aborto». E per farlo inizierà punendo col carcere chiunque preghi o dia informazioni (i socialisti lo definiscono «molestare, limitare la libertà e ledere la privacy di una donna») nei pressi di una clinica dove si eseguono interruzioni di gravidanza.

Osteggiato in parlamento solo da Popolari e Vox, il Psoe sta infatti introducendo nel codice penale una sorta di reato d’intralcio all’aborto à la francese: da 3 mesi a un anno di detenzione per chiunque si riunisca in prossimità delle cliniche a fare il prolife. Cioè a pregare, agitare cartelli, fermare la gente e dire cose impresentabili in modo impresentabile come quelle che, per capirci, hanno fatto cambiare idea a una Juno MacGuff in gita alla clinica abortiva.

Juno, «tuo figlio ha già le unghie»

Ricordate quel clamoroso successo internazionale scritto da Diablo Cody che non lasciava nemmeno uno spiraglietto a balle e retorica? Juno ha 16 anni, fa un figlio senza pensarci, vuole abortirlo senza pensarci e invece se lo tiene: a darle pensiero è una sola frase latrata brutalmente da una compagna di scuola occhialuta che piantona il parcheggio antistante la clinica col cartello del feto d’ordinanza, una sfigata e imbarazzante prolife insomma. «Ha già le unghie». «Unghie? Davvero?», si ferma Juno. La sfigata annuisce.

E così Juno (una splendida Ellen Page prima di diventare Elliot) invece di uscire dalla clinica abortiva con la pancia vuota e il preservativo al lampone in mano, torna a casa col suo bambino – che, diamine, ha già le unghie – e senza darsi pena per il molto progressivamente aggiornato stereotipo della ragazza emancipata con fede cieca e assoluta nell’ovvia soluzione opposta. Quel giorno Juno – successo di botteghino, critica, Oscar – abbandonava nella clinica che «puzza da anticamera di dentista» tutte le vedove della crociata abortista: per mesi (anche qui in Italia, ricordate Ferrara sulla Aspesi? E il “Juno siamo noi” della sempresialodata Mancuso?) le nostre si strapparono i capelli e si sperticarono in editoriali e salti mortali per salvare Hollywood dai prolife, e da quell’idea così molesta e minacciosa che anche i grumi di cellule avessero le unghie.

Dal film al reato d’intralcio all’aborto

Dire che Juno è solo un film è un attentato all’intelligenza: sono innumerevoli i grumi di cellule con le unghie usciti sani, salvi e ancora in pancia dalle cliniche dopo che madri titubanti, vulnerabili eccetera sono “inciampate” in un impresentabile antiabortista. Da film è invece la motivazione trovata per giustificare l’introduzione di un nuovo reato che fa a cazzotti con la libertà di espressione e riunione costituzionalmente garantita in Spagna: un rapporto del 2018 siglato dall’Associazione delle cliniche accreditate per l’interruzione di gravidanza (Acai), secondo il quale l’89 per cento delle donne che avevano abortito si era sentita molestata dai gruppi antiabortisti fuori dalla clinica, il 66 per cento minacciata.

Ma cosa rende così urgente trasformare in reato un diritto, garantito dalla legge, di poter pensare e dire tutto il peggio possibile a proposito del legalissimo aborto? Dati del ministero della Sanità, il numero di aborti in Spagna è diminuito nel 2020 a causa della «situazione eccezionale provocata dalla pandemia»: “solo” 88.269 interruzioni di gravidanza, una diminuzione dell’11 per cento rispetto al 2019. Ce ne è abbastanza perché il governo trovi prioritario rimuovere tutto quello che può mettersi di mezzo tra una pancia e un bisturi o una pillola: in primis quei maledetti e folkloristici agitatori di coscienza agli angoli delle strade coi cartelli “non sei sola, possiamo aiutarti” o “preghiamo per te e il tuo bambino”.

La coscienza, il nemico col rosario

Questi molestatori, scrivono con malcelato disprezzo i giornali, persone tra i 25 e i 35 anni, fanno cose come partecipare per 40 giorni nei pressi della clinica Dator, di Madrid, a un rosario-staffetta: è il caso dei 40 Días por la Vida (filiale spagnola dell’americana 40 Days for Life), fanno turni organizzandosi “addirittura” con whatsapp e con quegli sciroccati dei “soccorritori” del medico antiabortista Jesús Poveda che girano con una ambulanza che offre una ecografia gratuita alle gestanti perché vedano il proprio bambino. “Addirittura”, scrive El Pais, chiedono alle donne «di cosa hai bisogno per non abortire?», offrono loro un caffè così queste non potranno abortire perché non saranno a stomaco vuoto, mostreranno dei poster con un feto e la domanda: “E se avessi il tuo sorriso?”. Perché? Perché questi “sciroccati” in 88 mila e passa scarti di interruzioni di gravidanza nel 2020 hanno visto 88 mila e passa bambini con le unghie. E nella donna che va ad abortire non vedono solo un utero ambulante col diritto al raschiamento (presente le immagini usate per accompagnare le manifestazioni sull’aborto? Un rosario disposto a forma di utero femminile e la scritta «Basta rosari nelle nostre ovaie»).

Da quando abortire è un diritto (non lo è, ma tant’è) si può dubitare di tutto, fare del dubbio una religione spianando la strada a leggi sull’autodeterminazione di genere, eutanasia e suicidio assistita, ma dubitare dell’assolutismo dell’autodeterminazione no: la possibilità di un finale diverso dal feto in monnezza che seguirà quella visita alla clinica è fuori discussione. La riforma del codice penale è solo un assaggio della mega rivisitazione della legge sull’aborto a cui il ministro dell’Uguaglianza Irene Montero sta lavorando personalmente da oltre un anno, con tre obiettivi: eliminare il periodo di tre giorni di riflessione prima di interrompere una gravidanza; eliminare il consenso dei genitori previsto per tutte le minorenni che vogliono abortire. E soprattutto: limitare l’obiezione di coscienza del personale sanitario nelle diverse comunità autonome perché «il diritto dei medici all’obiezione di coscienza non può essere superiore al diritto di scelta delle donne».

Le unghie del “grumo di cellule”

Nell’happy end di Montero c’è anche la pillola contraccettiva maschile (ancora in fase sperimentale), ragazzine dell’età di Juno col pelo sullo stomaco pari a quello di nostre giornaliste molto progressivamente aggiornate («Ho abortito più di una volta, fatti miei»), obiettori di coscienza puniti con la detenzione per insubordinazione. Tutto il resto è un finale da censura, di più, un finale da film dell’orrore e da galera secondo la deputata socialista Laura Verja per cui chi prega fuori da una clinica è «senza cuore», «sono solo stalker, mostrano loro foto di feti. Chi si credono di essere? Alcuni si definiscono i soccorritori, come in un film dell’orrore». I famosi film dell’orrore alla Juno che alla fine vive felice e contenta (e gli spettatori con lei) perché non ha ucciso il bambino, libera da chi le propinava raschiamento e discarica, ma pure la maternità come ineluttabile destino: alla fine Juno dà in adozione il figlio e torna a suonare spensierata la chitarra col suo goffo fidanzatino. E se finisce così è grazie a un dubbio, quello istillato da una impresentabile prolife: ha anche le unghie. Pare sia d’accordo anche la scienza, non solo il botteghino. Quando è uscito, l’Atlantic ha scritto che Juno ha avuto successo perché ha complicato, invece di semplificare, il tema dell’aborto. Non sarà molto ma è abbastanza per chiedersi di cosa hanno paura i cultori i del dubbio a mezzo legge tanto da ricorrere alla galera per chi non la pensa come loro, di dieci piccole unghie sulle mani di un “grumo di cellule”?

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