La fine dei partiti tradizionali

Il voto in Francia anticipa una tendenza sempre più forte in Occidente. Con la crisi della globalizzazione i movimenti populisti hanno costretto l’establishment a cambiare e legittimare paradossalmente le idee radicali. Il futuro è altrove?

Il presidente francese Emmanuel Macron durante un suo recente comizio in vista del ballottaggio per le presidenziali in Francia (foto Ansa)

L’immagine sembra quella di cinque anni fa. Emmanuel Macron sotto la piramide del Louvre che festeggia la vittoria e disegna il programma di una Francia più forte in Europa. Lo scenario è quasi sovrapponibile, ma non del tutto. Ci sono molte continuità nello scenario politico francese, ma anche alcuni cambiamenti.

L’ircocervo Macron in Francia. E il resto?

Al centro c’è sempre la piramide elettorale di Macron, un ircocervo che si dirama e prende a destra e sinistra. Nel 2017 il neo presidente aveva schiacciato i socialisti, il suo partito di origine, mentre questa volta ha risucchiato i gollisti. I due partiti storici che hanno fondato la quinta repubblica francese sono oramai inesistenti, i socialisti non arrivano al 2 per cento e Les Républicains si fermano al 4,5. In questa tragedia elettorale si sommano molti fattori: leadership deboli e ossificate, il magnetismo politico di Macron e soprattutto l’avanzata di nuovi partiti, più estremi, con una proposta che convince maggiormente i francesi degli ultimi anni.

Le origini della crisi della politica tradizionale risiedono sempre in quel quinquennio tra il 2012 e il 2017, quando la somma di crisi economica, migratoria e trasformazioni sociali si è abbattuta sulle società occidentali. Sono emersi nuovi movimenti politici radicali, populisti, nazionalisti. Diversi tra loro ma accomunati dalla contestazione dell’establishment e dello status quo. Gli eredi più scaltri della politica tradizionale, come Emmanuel Macron, si sono reinventati per vincere. Innovazione, tecnocrazia, antipolitica, pragmatismo sono stati i punti cardinali del nuovo centrismo.

Cresce il radicalismo di destra e di sinistra

Ma le cicatrici non spariscono, dunque l’establishment rinnovato è stato costretto a imbracciare una nuova agenda per proteggersi dal sommovimento politico: tassi bassi e quantitative easing; superamento del fiscal compact; nuova spesa europea; protezionismo commerciale e industriale; stretta sull’immigrazione. Grazie anche all’emergenza sanitaria in Europa c’è stato uno sviluppo che sarebbe stato impensabile dieci anni prima.

Naturalmente c’è un rovescio della medaglia perché abbracciare nuove idee, o quantomeno recepire le suggestioni dei partiti radicali, significa contribuire a legittimarle. Lo statalismo crea domanda per un maggiore statalismo; il protezionismo per un ulteriore dose di protezionismo; la sicurezza e la difesa per accresciute politiche di controllo dei confini. È il motivo per cui, come si evince dai risultati del primo turno francese, il radicalismo di destra e sinistra perdura e anzi aumenta. Cresce Marine Le Pen, cui si affianca il nuovo esperimento di Éric Zemmour che sebbene al di sotto delle aspettative ha pur sempre preso il 7 per cento con una politica culturale estrema, ma esplode anche la sinistra socialista ed eurocritica di Jean-Luc Mélenchon.

Le trasformazioni profonde della politica occidentale

I partiti anti-establishment di destra e sinistra in Francia hanno coperto la maggioranza dell’elettorato, anche se con ogni probabilità Macron vincerà al secondo turno. Proprio il presidente uscente è il sismografo della trasformazione in corso. Eletto come candidato europeista e progressista, si è gradualmente mosso verso una forma di gollismo moderato. Ha rinunciato alle politiche di liberalizzazione dell’economia per coprirsi a sinistra, ma soprattutto si è fatto interprete di una politica estera assertiva e di una stretta sull’immigrazione per parare i colpi a destra. Ha tralasciato l’ecologismo, fatto intendere che il riarmo europeo dovrà avere un carattere prevalentemente nazionale, affrontato con realismo il rapporto con la Russia, coltivato il nazionalismo in una cornice europea.

Nell’ultima intervista preelettorale ha evocato il bonapartismo – un cavallo di battaglia ideologico della destra francese – e l’orleanismo, seducente simbolo della borghesia liberale. Così Macron è diventato il crocevia dei moderati francesi, svincolandosi rapidamente dalla sinistra e aprendo a destra, seppur con moderazione. Ma la politica francese mostra che le trasformazioni innescatesi nell’ultimo decennio sono profonde e che il processo di rallentamento della globalizzazione – che porta inflazione, interventismo statale, protezionismo – potrebbe esaltare, invece di mitigare, gli opposti estremismi. D’altronde il voto dei giovani francesi, dove prevalgono nettamente Le Pen e Mélenchon, sembra già anticipare il futuro che avremo davanti.

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