Sgarbi s’è preso pure il cancro. Accetta questo abbraccio, Vittorio

Elogio di un uomo che non perde occasione per mettersi controvento con ragioni piene di realtà. Signore, fai campare quel leone fino a chent'annos

Cronache dalla quarantena bis / 12

Dopo l’infarto e il Covid – lo ha detto in Parlamento per togliersi la mascherina e respirare – adesso s’è preso anche il cancro. Il leone. Perbacco Vittorio, accetta questo nostro volerti bene a distanza.

Sappiamo che sei arrabbiato con le mascherine e con la politica dell’antiassembramento sociale, a prescindere. Come se fossimo scimmie. Come se ci tirano due noccioline, ieri le mutande verdi di Cota oggi il capello alla Berlusca di Attilio Fontana, e noi tutti buoni hater sui social.

Abbiamo un sacco di guai, ma Signore, impara anche Tu il sardo e fai campare il nostro amico fino a chent’annos. Ne abbiamo così pochi di Sgarbi!

Come Sgarbi solo Ferrara

Una volta tra i pochi grandi felini dal cervello e il coraggio controcorrente immensi c’era anche Giuliano Ferrara. Adesso lo danno per morto. Non ci credete? Me lo raccontò lui stesso, il supposto cadavere dell’Elefantino poco prima di affezionarsi a Renzi (e col senno di poi, ci ha azzeccato almeno in quella parte che ha resistito all’atto napoleonico waterloonense del referendum).

Accadde su uno di quegli autobus mangiafuoco Atac di cui va fiera la sindaca di Roma.
«Dotto’, ma sa che lei me rassomiglia a quello che stava in televisione e che mo non ci va più, me sa che è morto, come se chiama, grande e grosso…».
«Giuliano Ferrara?».
«Ecc’a llà! Sì, quello! Me scusi dotto’, ma ce somiglia proprio!».
«Piacere, sono Giuliano Ferrara».
E quello esterrefatto: «Ammazza dotto’, ma allora nun è morto, nun se po’ più crede a niente, a li mortacci!».

Fuori dai talk show non esisti

È così. Se ti hanno visto in tv e battezzato l’esistenza di essere umano televisivo, nel momento in cui non appari più sullo schermo, vuol dire che sei morto. D’altra parte è il tipico horror vacui di cui soffrono non soltanto gli attori. Ma anche i giornalisti, gli intrattenitori e non parliamo ovviamente delle soubrette dei talk show.

Non c’è un nome di quelli che vedete ogni santo giorno introiettarsi il cosmo in un tot di pollici a reti unificate – da mamma Rai a zia Sky passando per cugina (di Rai3) La7 e madama Mediaset – che non soffra la sindrome del terrore da assenza da teleschermo.

McLuhan e la società dell’antirealtà

Non solo. Ci sono almeno due signore – e le conoscete meglio di me – che ci vivono negli studi televisivi. Non ci hanno ancora invitato nessuna donna a partorire in diretta e poi a far crescere giorno dopo giorno il pupattolo (sintesi tra pupo e giocattolo) tra Amici o a Barbara Live. Però la vita è quella: come ai tempi delle monarchie assolute di Francia le regine dovevano partorire in pubblico, così succede nell’età dello spettacolo totale, sempre in fase evolutiva, essendo dirimente non la vita e il cosmo reale ma l’intrattenimento e il divertimento da morire.

Ma perché sono scivolato in queste considerazioni alla Neil Postman e Marshall McLuhan? No scusate, vorrei ritirare la citazione del canadese Marshall che si convertì al cattolicesimo e già sul finire degli anni Sessanta ipotizzò l’avvento di una società dell’antirealtà. E paolinamente – poiché «la realtà è Cristo» come scrive san Paolo ai colossesi – il canadese ne conseguì: «Tempo dell’Anticristo».

Vittorio controcorrente

Ritiro Marshall anche se – state attenti – diceva che in un mondo dell’informazione che viaggia alla velocità della luce bisogna stare attenti su che canale ci si sintonizza: vi è chiaro che non è la stessa cosa che andare in guerra e vivere da spettatori il bombardamento chirurgico piuttosto che quel bacio tra uomini su Rai1, e hanno pure il coraggio da morti di fama di scrivere «un piccolo bacio, ma un grande balzo per l’umanità»?

Dicevo che ritiro e mi riposiziono sul nostro grande amico Vittorio Sgarbi. Lo conoscete, no? Uno che non perde mai un colpo d’ala per mettersi controvento con ragioni che va a cercare partendo dalla realtà. E non a caso, partendo dalla sua propria condizione e intelligenza umana.

La tv come teatro

Fa teatro anche Sgarbi, ovviamente. Perché palcoscenico teatrale è la tv. E non è affatto male in sé. Anzi. Perché teatro – come già sapevano i greci che lo hanno inventato per fissare ed elevare a esperienza esaminata la vita umana e la comunità politica – è il modo più semplice e creativo per intrattenere e istruire un pubblico.

Ora dipende cosa intrattieni e cosa istruisci. Se vedi i balzi dell’umanità, ma anche no. Se vedi Davigo, non hai bisogno di aggiungere niente, è quello, un granito fedele a se stesso, qualunque cosa accada nel cosmo. Ma se vedi Vittorio Sgarbi, tu senti già scorrere il sangue nelle vene e subito ti prepari ad attendere colpi di teatro, argomenti non banali, timbro non conformista, in poltrona, con la bisaccia dei pop corn alla mano, come in un bel film d’azione.

Quanto sono lontani tutti gli altri

Quanto dista da costoro, da un Vittorio Sgarbi o prima che fosse morto da Giuliano Ferrara, qualunque giornalista, gossiparo, esperto politico, rimasugli di balene bianche, rosse, a cinque stelle, che son sempre lì a galleggiare in tv? Cosa vedi con questi qui? Tappi di Barolo andato o, al massimo, patate alla spruzzatina di champagne.

Ho detto champagne? Scusate, devo avere un trojan da qualche parte e non me ne sono accorto. Perciò, adesso non vorrei esagerare con l’elogio di uno che non mi sembra sia mai andato un granché d’accordo col capo del Csm in giù. Infatti, tira più querele Sgarbi che un carro di buoi.

Foto Ansa

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