L’urgenza di accantonare la propaganda e aprire una fase costituente

Carlo Calenda ospita a Porta a porta. Sullo sfondo, Giorgia Meloni (foto Ansa)

Su Dagospia Giorgio Gori dice: «Le proposte di Nordio — rafforzamento presunzione d’innocenza, separazione carriere tra pm e giudici, stop abuso carcerazione preventiva e intercettazioni — vanno sostenute. Stop al giustizialismo di destra e di sinistra».

I media meno condizionati da strategie politico-propagandistiche hanno notato come la magistratura belga abbia svolto un’indagine particolarmente complessa, ricca di intercettazioni, senza mai usare indiscrezioni per colpire gli inquisiti o per orientare la stampa: le eccezioni a questa linea di comportamento sarebbero avvenute quando all’indagine hanno collaborato pm italiani. Ecco un altro elemento che dovrebbe spingere destra e sinistra italiane, mentre si scontrano sui temi di governo, a trovare un’intesa costituente per affrontare quella crisi verticale della magistratura che ormai, dopo il caso Palamara, non può più essere occultata.

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Su Huffington Post Italia Pietro Salvatori scrive: «È quando si illumina il tabellone che dà conto di come i senatori hanno votato che si materializza l’asse atlantico che Giorgia Meloni è riuscita a cementare in Parlamento. Il Partito democratico e il terzo polo votano la risoluzione con la quale la maggioranza si impegna a continuare a sostenere anche militarmente l’Ucraina, la maggioranza fa lo stesso con i testi dei due partiti di opposizione».

Un’opposizione puntuale al governo Meloni, che naturalmente si differenziasse dalle pagliacciate di quell’avventuriero di Giuseppe Conte, sarebbe assai utile: una buona democrazia funziona quando c’è un vero dibattito pubblico tra forze impegnate su programmi alternativi. Però le convergenze in politica estera di maggioranza e opposizione sono assolutamente indispensabili, soprattutto in una fase per tanti versi tragica come quella che stiamo vivendo. E politicamente potrebbero/dovrebbero aprire a una fase costituente della democrazia italiana che affianchi e integri le contrapposizioni programmatiche tra destra e sinistra.

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Su Open si scrive: «Il leader del terzo polo Carlo Calenda ieri è andato all’incontro con Giorgia Meloni sulla legge di bilancio. Oggi, in un’intervista a La Stampa, spiega che la premier esercita su di lui un certo fascino. Ma anche che la manovra è nata nel segno di Matteo Salvini e della Lega. “Sento il fascino della storia di Giorgia Meloni. È quella che lei ha raccontato più volte: una donna che nasce in una famiglia non privilegiata, con una vita difficile e che ce la fa da sola. Questo mi predispone positivamente dal punto di vista della chimica. Dopodiché, abbiamo pensieri diametralmente opposti, ma sono in grado di fare questo apprezzamento rimanendo radicato nelle mie convinzioni”, esordisce Calenda. Per puntare poi il dito su Forza Italia: “L’incontro un’operazione mediatica? Allora bastava una chiacchierata. Penso piuttosto che Forza Italia abbia un problema. Vuole sabotare il governo di cui fa parte. Non lo trovo lodevole come intento”. Secondo Calenda “è una questione di serietà. Sono stati votati ed eletti per lavorare in coalizione. Non puoi fare finta e poi iniziare a segare le gambe della sedia. Questo è il motivo di fastidio dei vari Ronzulli, Gasparri e Mulè. Sono in un partito sgonfiato che vive di polemiche interne al governo”. Mentre sulla Finanziaria “abbiamo deciso che seguiranno degli approfondimenti tecnici. Invieremo il nostro centro studi e il legislativo. Io sarò presente sul tema dell’energia”. Per Calenda la legge di bilancio “è ancora la manovra di Salvini. Dal Pos in poi, sono tutte bandierine elettorali della Lega”. Infine, una battuta sul Pd: “Ho proposto al Pd di lavorare insieme sulla manovra, gli ho anche inviato la nostra proposta, ma non hanno mai risposto. Preferiscono fare a gara con i Cinque stelle a chi va in piazza per primo”».

Il dialogo tra Calenda e Meloni è sicuramente positivo, ma il fondatore di Azione e ora co-socio con Matteo Renzi di Azione-Italia viva, non sa resistere alla tentazione del protagonismo e al suo ruolo di eterno seminatore di zizzania, compito non difficile viste le condizioni di tanti dei partiti della Seconda Repubblica spesso in aperta crisi. Come separare il calendiano grano-dialogo dall’altrettanto calendiano loglio-zizzania? La via maestra è aprire accanto alla discussione politica una fase costituente, magari con una vera e propria assemblea dotata anche del potere di organizzare referendum d’indirizzo come fu quello sulla monarchia del 1946 per sciogliere i nodi particolarmente aggrovigliati dei nostri ordinamenti costituzionali in crisi.

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Su Strisciarossa Onide Donati scrive: «La complessa questione è regolamentata in termini generali dagli articoli 116, 117 e 119 della Costituzione. Le competenze riguardano 23 materie, fino a oggi disciplinate direttamente dallo Stato o in modo “concorrente” con le Regioni. Al Nord le Regioni guidate dalla destra puntano a fare il pieno. Si tratta di materie che vanno al cuore dello Stato: istruzione, ricerca scientifica, reti di trasporto, energia, salute, beni culturali… Il Veneto di Zaia le ha chieste tutte, la Lombardia di Fontana venti, l’Emilia-Romagna, guidata da Bonaccini, una dozzina ma il presidente sembra averci ripensato e adesso ritiene che partire dalle competenze su cui puntare, in mancanza di una legge quadro, sia come mettere il carro davanti ai buoi. Pare anche plausibile che Bonaccini abbia accantonato l’argomento per concentrarsi sulla corsa alla segreteria del Pd per la quale cerca il sostegno dei due potenti presidenti Pd di Puglia (Emiliano) e Campania (De Luca). Insomma, i problemi sono trasversali. La presidente del Consiglio sa che non può permettersi di tirare troppo la corda con la Lega perché ne va dell’esistenza della maggioranza e la Lega sa che non può permettersi di perdere questo treno del suo viaggio – partito all’insegna di “prima il Nord” – perché ne va della sua missione politica. E allora meglio tenere tutto sotto traccia finché sarà possibile, in nome di priorità che sono altre. Se ne riparlerà dopo tutte le tornate elettorali regionali del 2023 e 2025 e non sarà un dialogo facile».

Mettere mano al sistema delle autonomie italiane trattato in modo frammentario (e spesso propagandistico) negli ultimi trenta anni è indispensabile. Bene la pazienza e la riflessione. Ma anche a sinistra dovrebbe prevalere la spinta versa quella fase costituente che la crisi dello Stato italiano richiede urgentemente.

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