L’unico errore del Papa a Lesbo

Intervengo sulla questione dei profughi siriani musulmani sunniti trasferiti in Italia con volo papale dall’isola di Lesbo il 16 aprile scorso solo e soltanto perché me lo chiedono persone amiche che vivono in un paese del Vicino Oriente, permanentemente esposte a grandi pericoli per amore di Cristo e quindi per amore del prossimo rappresentato dagli abitanti locali, cristiani e musulmani. Sarebbe bello ragionare dei gesti compiuti dal Santo Padre in quell’occasione fuori dal clima di scontro fra opposte tifoserie che su tale vicenda si è creato. Ragionare in un modo che tenga insieme figliolanza, senso critico, prudenza e volontà di conversione personale. Certo, gli atti che papa Francesco ha compiuto sono stati di grande forza simbolica e di grande impatto mediatico, caratteristiche che provocano forti reazioni emotive, tanto più che le odierne tecnologie della comunicazione sono intrinsecamente congegnate per eccitare i moti dell’animo e non certo per stimolare la riflessione. Ma, se l’educazione ricevuta ci permette di essere liberi, almeno un po’, dalla mentalità e da altre schiavitù del nostro tempo, abbiamo gli strumenti per andare oltre alle reazioni di tipo sentimentale o di sconcerto o di gratificazione, e approfondire.

Dunque, per quanto riguarda la decisione del Papa di portare in Italia profughi tutti musulmani sunniti, anch’io trovo che sia stata un errore. Ma non per i motivi che hanno scritto altri. Anzi: trovo che le critiche che sono state fatte a Francesco siano tutte sbagliate. Non si è trattato di un incoraggiamento all’immigrazione, perché tutte le persone portate in Italia sono richiedenti asilo, siriani in fuga da una guerra che ha fatto più di 260 mila morti secondo alcune fonti, 400 mila secondo altre. I 12 extracomunitari importati sul suolo italiano sono dei profughi: venissero meno le condizioni di forza maggiore che li hanno spinti a cercare riparo in Europa, tornerebbero nel paese d’origine.

Non è giusta nemmeno la critica secondo cui il Papa, capo spirituale della Chiesa cattolica, avrebbe dovuto privilegiare richiedenti asilo cristiani anziché dare un passaggio a fuggiaschi di altra religione, in questo caso quella islamica. Il Papa non è il protettore politico dei cristiani, che devono poter contare sulla protezione delle leggi del paese in cui vivono e su quella del diritto internazionale, tanto quanto le persone di altra religione o di nessuna religione. Ma le opere di misericordia e le opere di giustizia che i cristiani, Papa compreso, sono chiamati a compiere dalla loro fede sono per natura universali, sono rivolte verso tutti a prescindere dalla loro fede o non fede religiosa. Se due persone, un cristiano e un musulmano, stanno affogando, il Papa non salva per primo il cristiano per privilegio religioso, salva per primo il più vicino dei due. La Caritas, il più importante organismo caritativo cristiano, per statuto assiste i bisognosi senza stabilire priorità sulla base della loro affiliazione religiosa. Esistono giustamente realtà cristianamente ispirate che privilegiano esplicitamente i cristiani nella loro azione di solidarietà e di sostegno (Aiuto alla Chiesa che soffre, SOS Chrétiens d’Orient, ecc.), ma per la buonissima ragione che si vuole preservare e favorire la presenza della Chiesa e dei cristiani in quelle regioni del mondo dove forze ostili vorrebbero eliminarla. Presenza che è parte del disegno di Dio per l’umanità e che, sociologicamente parlando, va a vantaggio non solo dei cristiani stessi, ma di tutti i popoli che con loro o vicino a loro vivono, come potrebbe confermare qualunque musulmano onesto di qualunque paese del Vicino Oriente e dell’Africa sub-sahariana.

Ci sono cose nelle quali il cristiano deve privilegiare il rapporto con altri cristiani rispetto a quello con coloro che cristiani non sono: il fare comunità e il tendere all’unità in ogni cosa, dalla preghiera fino all’azione politica (don Luigi Giussani sottolineava l’esigenza che i cristiani tendessero all’unità anche in politica, e per molti anni il movimento ecclesiale che da lui nacque operò in tale senso). Ma quando si tratta di dare da bere agli assetati, il cristiano non fa distinzioni: tutti coloro che hanno sete sono Cristo in persona, perciò non ha senso privilegiare i battezzati rispetto ai non battezzati. Chi suggerisce di farlo mi ricorda lo sceicco Yusuf Qaradawi, maître-à-penser dei Fratelli Musulmani, che emise su richiesta una fatwa nella quale si stabiliva che, in caso di liste di pazienti bisognosi di trapianti di organi, nei paesi islamici i musulmani dovevano avere la precedenza sui non musulmani. Invece per i cristiani il modello è il buon samaritano, che soccorre un giudeo ferito nonostante i cattivi rapporti fra le due etnie.

Non ha ragione nemmeno chi fa notare che, lasciando da parte la questione dell’affiliazione religiosa dei profughi esfiltrati da Lesbo, il Papa ha privilegiato dodici persone fra le 4 mila bisognose presenti, compiendo perciò un’ingiustizia nei confronti di tutti coloro che non sono potuti salire sull’aereo papale. È evidente che dando un passaggio a 12 persone su 4 mila il Papa ha soprattutto voluto dare un esempio, mostrare un paradigma di comportamento perché fosse imitato dai governi dei paesi europei, scuotere la coscienza delle persone perché muovendosi come opinione pubblica facciano pressione sui loro governi in quella direzione.

Anche chi dice o pensa che in Europa arrivano già abbastanza musulmani di loro iniziativa, e quindi non era il caso di portarne altri con l’aereo papale e incoraggiare la partenza di quelli che in Europa non sono ancora venuti, sbaglia impostazione. In Europa gruppi di giovani musulmani hanno compiuto atti terroristici contro civili inermi con l’obiettivo di scatenare una guerra di religione sul suolo europeo. Nel Vicino Oriente gli interventi militari limitati della coalizione a guida americana possono essere sfruttati dalla propaganda islamista per asserire l’esistenza di una nuova “crociata” occidentale contro i paesi musulmani. Gruppi armati islamisti radicali di varia tendenza colpiscono le minoranze religiose, e in particolare i cristiani, presentando le loro azioni come “guerra santa” contro gli infedeli per la vittoria dell’islam. Il gesto del Papa va nella direzione opposta alle provocazioni e alle letture propagandistiche dei fatti che mirano a innescare e allargare una guerra di religione. Disinnesca il potenziale per una guerra di religione nel momento in cui mostra a tutti i musulmani del mondo che il capo dei cristiani non ha paura dei credenti di fede islamica, non li vede come nemici, tanto che ne favorisce l’accoglienza in terre storicamente cristiane. Direi che questo è il messaggio più importante e più utile di tutta l’operazione Papa a Lesbo.

Ma allora, direte voi, su cosa non sei d’accordo, dove sarebbe l’errore? L’errore a mio parere sta nel fatto che nel Vicino Oriente, regione del mondo percorsa da crudeli conflitti pluriennali, molti leggeranno il gesto di Francesco come un gesto amichevole verso l’islam politico sunnita in armi e una presa di distanza dai governi e dalle forze politiche contro cui quell’islam si batte e dagli strati di popolazione che in quei governi o in quelle forze politico-militari si riconoscono. Questa impressione è rafforzata dall’infelice video in cui si vede il Papa salutare richiedenti asilo alcuni dei quali convinti di dover dar vita a una manifestazione politica a favore dei ribelli in Siria. Ostentano la vecchia bandiera siriana, che è stata fatta propria prima dal Consiglio nazionale siriano e poi dalla Coalizione nazionale siriana delle forze di opposizione e della rivoluzione, bracci politici del Free Syrian Army, da tempo colluso coi jihadisti di Jabhat al Nusra (Al Qaeda in Siria), di Jaysh al Islam e di Ahrar ash Sham (formazioni salafite infeudate all’Arabia Saudita e alla Turchia). Un ragazzo addirittura fa due volte il saluto militare al Papa. La notizia del trasferimento in Italia di profughi tutti siriani musulmani sunniti e il filmato che mostra un clima di simpatia per la ribellione armata in Siria, facilmente in Medio Oriente verranno interpretati come una scelta di Francesco di schierarsi con una parte politica e militare. Penseranno così molti cristiani, sciiti, alawiti, drusi, yazidi e curdi, e i sunniti filo-Assad che in Siria non sono affatto rari. I vescovi e altre personalità corroboreranno la versione ufficiale secondo cui le famiglie scelte erano quelle con le “carte in regola”. Ma la gente comune, se si fida di voi, vi esprimerà la sua sensazione sgradevole. L’impressione che è stata data andava evitata, e il modo migliore sarebbe stato quello di far salire sull’aereo papale anche richiedenti asilo di altre nazionalità e fedi religiose.

Detto questo, il bilancio dell’iniziativa papale resta largamente positivo per le ragioni dette sopra. Ma compiere gesti di intenzione universale che vengano letti univocamente a Oriente come a Occidente è praticamente impossibile. Le chiavi di lettura sono inevitabilmente diverse, oggi non meno che in passato. Mantenere un rapporto stretto e vivo con chi vive e testimonia la fede e l’amore di Cristo nei paesi sull’altra sponda del Mediterraneo è fondamentale per evitare fraintendimenti e per individuare più puntualmente ciò che unisce e ciò che avvicina.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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