Una “bomba atomica” per evitare altri “casi Lupi”

Non capita spesso di legge articoli così lucidi e chiari. Per questo merita di essere segnalato l’editoriale di Angelo Panebianco che appare oggi sul Corriere della Sera (“Magistrati ministri, e la politica si arrende”). Il politologo nota che “Matteo Renzi ha scelto di seguire gli umori popolari nella vicenda che ha portato alle dimissioni di Lupi da responsabile delle Infrastrutture. In realtà più urgente sarebbe il provvedimento che riguarda l’uso delle intercettazioni. Fra i nomi che circolano sui possibili sostituti di Maurizio Lupi al ministero delle Infrastrutture ci sono anche quelli di due magistrati, Raffaele Cantone, attuale presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, e di Nicola Gratteri (che Renzi avrebbe voluto alla Giustizia quando nacque il suo governo)”. Tale scelta, anche se poi non sarà confermata, segnala comunque una tendenza della nostra politica che quando vuole “mettersi al riparo da attacchi giudiziari” cosa fa? Decide di “compiacere la piazza giustizialista – scrive Panebianco – affidano la poltrona che più scotta a un magistrato, riconoscendo così, anche ufficialmente, la propria debolezza, la subalternità della politica al potere giudiziario”.
Lo vediamo anche ora con la gestione dello scandalo che ha portato alle dimissioni di Lupi: “Renzi ha scelto di sposare gli umori della piazza, esponendosi così all’accusa di opportunismo, di essere uno che usa due pesi e due misure, salvando (politicamente) o condannando a seconda delle sue convenienze”.

LA BOMBA ATOMICA. Per evitare ciò, che cosa avrebbe potuto fare?, si chiede l’editorialista. Semplice, avrebbe dovuto “tirare fuori di tasca la bomba atomica: un decreto legge che ponesse immediatamente fine a un ventennio di diffusione arbitraria di intercettazioni giudiziarie. Altro che il solito “disegno di legge” sulle intercettazioni (ce n’è uno in pista anche ora, l’ennesimo), destinato presumibilmente a fare la fine di tutti quelli che, in questi vent’anni, l’hanno preceduto”.
La questione è urgente e Panebianco smonta le solite obiezioni che vengono poste, ad esempio paragonando la nostra democrazia a quelle occidentali. Benissimo: facciamo un paragone. “Prendiamo le ventuno democrazie occidentali più consolidate (quelle che sono tali con continuità dalla fine della Seconda guerra mondiale). Quante volte, diciamo negli ultimi dieci anni, plausibilmente, ministri di queste ventuno democrazie hanno fatto telefonate simili a quelle che sono costate il posto a Lupi? Vogliamo essere prudenti? Vogliamo dire “solo” decine e decine di volte? E in quanti casi, simili telefonate, intercettate dall’autorità giudiziaria, sono diventate pubbliche ponendo fine alla carriera del ministro? Ma – dicono quelli che non ne hanno un’idea – il fatto che l’Italia faccia un siffatto uso, pubblico ed extraprocessuale, di intercettazioni giudiziarie è segno che il nostro è il Paese più democratico del mondo. Decidetevi: il nostro è il Paese più democratico o è il più corrotto del mondo? Non si possono sostenere insieme tutte e due le cose. Salvo credere che un alto tasso di corruzione sia un indicatore di elevata democraticità”.

INTERCETTAZIONI. La verità è che l’Italia non è “né il Paese più democratico né quello più corrotto”. Semplicemente è quello col “sistema normativo criminogeno, un guazzabuglio di norme che, da un lato, è esso stesso creatore di reati e, dall’altro, non rappresenta un deterrente efficace contro i mariuoli” (leggi qui quante volte sono state modificate le leggi che regolano gli appalti nel nostro paese). Basterebbe cancellare tutte queste norme e riscriverle: poche e chiare. Forse allora la corruzione inizieremmo a combatterla realmente. In secondo luogo ciò che roivina l’Italia da vent’anni è “l’uso politico (contro indagati e contro non indagati) delle intercettazioni giudiziarie. Pier Luigi Bersani ha ora lamentato tale andazzo e ha ragione. Però, quando era potente, non fece nulla in merito: forse perché allora il sistema serviva soprattutto per colpire Berlusconi e i suoi? Nonostante la prudenza con cui tratta la questione giustizia, il governo Renzi ha già sperimentato l’ostilità dei rappresentanti sindacali della magistratura. Le norme del governo sulla responsabilità civile dei magistrati – questo lo sappiamo tutti – avranno effetti scarsi o nulli. Al contrario, una buona legge sulle intercettazioni cambierebbe tanto nella politica italiana. È la ragione per cui è così difficile metterci le mani”.

Foto Ansa

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