Nemmeno l’Ue offre un posto di riguardo a chi sfida il “dittatore” Erdogan

Il sogno dell'Unione è a tal punto in dissoluzione che le ritorsioni turche contro l'Italia per le parole di Draghi potrebbero perfino far felici altri stati membri

L’imbarazzo di Ursula von der Leyen rimasta senza sedia il 7 aprile scorso ad Ankara durante la visita dei vertici Ue al presidente turco Recep Tayyip Erdogan

Continua e continuerà la questione che si è aperta con Erdogan, definito dittatore da Mario Draghi: essa è un interessante spunto per riconsiderare le relazioni intra europee e le pratiche delle relazioni internazionali.

Come ripetono più fonti, lo sfondo è quello di un accordo generale sul fatto che «le parole di Draghi, seppur scomposte e poco diplomatiche, non si discostino molto dalla realtà»: la questione della sedia mancata per Ursula von der Leyen è solo una piccola cosa, benché grande assai sul piano simbolico, rispetto alle conseguenze di un golpe fallito (tarocco?) che fornisce la scusa al regime per incarcerare migliaia di giornalisti, professori e chiunque sia critico del governo di Ankara. E altro ancora.

Sia chiaro, nulla da dire rispetto alla espressione di scelta dei turchi attraverso le elezioni: ciascuno si scelga chi vuole.

Ma tutto è argomentabile, anche sul piano storico, rispetto al fatto che una scelta anche democraticamente espressa non metta in sella un dittatore. E dunque il distinguo si pone proprio rispetto alla pratica di governo, al rispetto dei diritti fondamentali di cui continuiamo a ripetere essere fondativi per l’Europa.

E questa è l’affermazione di Draghi.

Esattamente contraria alla dichiarazione della commissione europea«La Turchia è un paese che ha un parlamento eletto e un presidente eletto, verso il quale nutriamo una serie di preoccupazioni e con il quale cooperiamo in molti settori. Si tratta di un quadro complesso, ma non spetta all’Ue qualificare un sistema o una persona»

L’Europa cialtrona ovviamente si defila: Ursula è una di passaggio, come ci si poteva aspettare, e l’Unione per prima non crede nei propri simboli, che dunque non deve tutelare perché l’interesse europeo è il mantenimento del vantaggio dei singoli membri che utilizzano l’Unione per i propri comodi.

Da cui il silenzio di tutti e quello tombale dei tedeschi, già invasi dai turchi.

Su tutto ciò, poi, lo spettro di un possibile ritorno in libertà delle migrazioni da est: in questo momento bloccate grazie a milioni di euro al dittatore. Dittatore proprio anche per questo: perché pagato da buon mercenario per fare il lavoro sporco che l’Europa vuole ma non può fare.

È ovvio che in questo contesto, di abbandono corale, la minaccia può diventare più specifica contro l’Italia.

Come si legge: «Salta la vendita di elicotteri Leonardo per la scuola di volo militare. Avvertimenti ad altre tre aziende, tra cui Ansaldo Energia. Così Ankara preme sull’economia per ottenere le scuse».

Certamente il dittatore colpisce là dove il sistema è vulnerabile e attaccabile dagli amici. Infatti, chiudendo questi contratti all’Italia è molto interessante capire da quali paesi verranno sostituite le commesse italiane. Non c’è da temere: gli amici sono in attesa, complici gaglioffi del satrapo, sorridenti entrambi.

La questione “erdoganiana” va ben oltre la Turchia con risultati inattesi per tanti. A cominciare da quello eclatante per cui il rompete le righe degli alleati di fronte alle pressanti angherie turche riporta le armate del sultano alle porte di Vienna senza colpo ferire.

È l’ennesimo passo verso la dissoluzione del sogno europeo che muore per soddisfare la propria ingordigia, ma sulla pelle dei suoi cittadini che hanno solo da perdere dalle manfrine col turco. L’establishment europeo e i suoi prezzolati vivranno comunque benissimo, sapendosi adattare facilmente alla seduta su un divano e non su una sedia.

E Draghi: la sua uscita è stata improvvida e sconsiderata? O al contrario rientra in un quadro di conseguenza previste in un contesto più articolato? Ancora una volta chissà se Draghi è un drago o una lucertola.

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Marco Lombardi, autore di questo articolo, è direttore del dipartimento di Sociologia e del centro di ricerca Itstime dell’Università cattolica del Sacro Cuore

Foto Ansa

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