Tra i profughi fuggiti dall’Artsakh. «Non torneremo mai più nelle nostre case»

Elina, Vika e Meri, appena arrivate nella capitale armena, raccontano a Tempi la loro odissea: «Gli azeri ci hanno affamato, ucciso e ora scrivono una pace che non esiste. Il Nagorno-Karabakh è il cuore del nostro popolo e ora ci è stato tolto»

Vika (a sinistra) ed Elina, scappate in Armenia dall’Artsakh dopo l’invasione dell’Azerbaigian

Erevan. A sette giorni dall’attacco azero che ha messo fine all’indipendenza de facto del Nagorno-Karabakh, a Erevan cominciano ad arrivare i primi profughi dall’ormai ex repubblica dell’Artsakh. Nel nostro hotel alloggiano tre famiglie, sono arrivate su un van bianco, facce stravolte, pochi pacchi e occhi che parlano da soli. Due donne che reggono in braccio una bambina e una ragazza acconsentono a raccontarci la loro storia. Michael, la nostra guida, si offre di tradurre.

Nella repubblica dell’Artsakh conducevano una vita normale: Elina era una parrucchiera, Vika una studentessa superiore e Meri (che non ha voluto farsi fotografare) gestiva la logistica di un magazzino. Poi l’attacco azero, la capitolazione e il dramma: «Sabato e domenica la polizia ha cominciato a girare per i villaggi limitrofi a Stepanakert avvisando che bisognava prepararsi a lasciare le case, tutti dovevamo riunirci nella capitale per iniziare i preparativi della partenza», raccontano a Tempi.

Com’è stata organizzata la fuga?
Le autorità hanno intimato a chi possedeva un mezzo di trasporto di partire immediatamente. Chi era impossibilitato invece avrebbe dovuto aspettare ulteriori indicazioni.

Ma se qualcuno avesse voluto restare?
Ci hanno obbligati a partire! Noi siamo nati e cresciuti in Artsakh, avremmo voluto restare, potevamo combattere ma non ci è stato permesso. Abbiamo dovuto lasciare le nostre case prendendo lo stretto necessario, pochi pacchi e qualche oggetto. Ma non solo le case, sono stati abbandonati anche gli equipaggiamenti militari, le armi… tutto. Un disastro.

Le autorità, quindi, non hanno coordinato l’esodo in alcun modo.
Nessuno! Siamo fuggiti da soli con le nostre forze. Tutti si precipitavano alle pompe di benzina finché non è finito il carburante. Poi c’è stata l’esplosione…

Vi riferite all’esplosione della pompa di benzina avvenuta due giorni fa?
Si, vicino a Stepanakert è esploso un deposito di carburante facendo morti e feriti tra chi si accalcava per rifornirsi. Ma non è stata una tragedia, una fatalità, dietro c’è la mano dell’Azerbaigian.

Un attentato sui civili dunque?
Sì, nei due giorni di guerra gli azeri, per quanto a noi superiori, hanno subito gravi perdite. Allora hanno cambiato approccio, una volta iniziato il cessate il fuoco si sono proposti di fornire la benzina per l’esodo e proprio quella benzina ha portato all’esplosione dove sono morti i nostri amici. Non è un caso, sono dei criminali travestiti.

Ci sono altre persone di cui non conoscete il destino?
Moltissime! Questi giorni sono stati terribili, non andavano i telefoni e non c’era elettricità, molti uomini non sappiamo che fine abbiano fatto. Probabilmente sono morti o arrestati come Ruben Vardanyan, ex ministro di Stato dell’enclave. Non sappiamo nulla di loro.

Cosa farete ora? Di che cosa avete bisogno?
Non lo sappiamo, da quando l’Azerbaigian ha chiuso il Corridoio di Lachin quasi un anno fa, la nostra repubblica è entrata in una crisi nera. Nessuno di noi lavora più, abbiamo finito i soldi e mio fratello ha dovuto vendere le collanine d’oro per poter pagare il cibo per la bambina.

Il governo armeno non vi aiuta con l’alloggio?
No, qui stiamo pagando di tasca nostra con i nostri ultimi soldi. Non voglio neanche nominare il nostro primo ministro (Nikol Pashinyan, nda), ci sentiamo traditi.

Pensate che tornerete mai alle vostre case?
Non c’è più possibilità. Nel nostro palazzo ora ci sono gli azeri e i turchi. L’Artsakh è finito e non torneremo alle nostre case. C’è qualcuno che dice che armeni e azeri possono vivere insieme ma non è vero. Ci hanno affamato, ucciso e ora scrivono una pace che non esiste.

Oggi è toccato al Nagorno-Karabath, domani Baku potrebbe avanzare ancora. Avete paura per il futuro dell’Armenia?
Non abbiamo paura, ma neanche speranza. Senza Artsakh non c’è Armenia, il Nagorno-Karabakh è il cuore del nostro popolo e ora ci è stato tolto. La responsabilità però non è solo dei nostri nemici ma anche di chi pensavamo amico. Qui c’è un detto che dice: “Un armeno che tradisce un armeno è peggio di un turco”. Ci sentiamo così, traditi.

@CappiGabriele

Foto Tempi

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