Tra i giovani del Niger, dove Boko Haram recluta nuove leve: «La violenza è il nostro lavoro»

Storie di ragazzi che imbracciano il fucile per combattere coi militanti jihadisti: «Ci pagano tremila dollari. Picchiamo persone e rubiamo soldi, fumiamo marijuana e beviamo alcool»

«Lo facciamo solo per soldi». È presto detta la ragione che spinge tanti giovani di Diffa, città del sud del Niger, a varcare il vicino confine nigeriano e arruolarsi con Boko Haram, il gruppo terroristico che da quattro anni semina violenza in questa zona dell’Africa. Li ha incontrati la Bbc, che racconta le loro storie in un reportage. Ai ragazzi di Diffa non interessa nulla degli “ideali” che spingono i terroristi a sequestrare persone, attaccare villaggi, azionare autobombe: i dollari promessi a chi imbraccia il fucile sono un’ottima ragione per il jihad.

«LA VIOLENZA È IL NOSTRO LAVORO». «Non abbiamo lavoro», raccontano i ragazzi al giornalista Thomas Fessy, «alcuni di noi sono ancora al liceo e abbiamo bisogno di soldi. La violenza è diventata una forma di lavoro per noi». Accettano di raccontare la loro esperienza solo sotto garanzia dell’anonimato: sono una dozzina, raccontano che cinque di loro sono impegnati in azione, e che due amici sono già morti. Poi spiegano come si organizzano: «Facciamo irruzione nelle case, talvolta picchiamo persone per soldi, rubiamo gli animali così abbiamo qualcosa da mangiare. Poi ci riuniamo e prendiamo il Tramol (un oppiaceo), fumiamo marijuana e beviamo alcool».
Chi ha imbracciato il kalashnikov ora è nascosto nel nord della Nigeria e ha ricevuto 500 mila naira, il corrispettivo di tremila dollari, ma c’è anche chi collabora ancora dal Niger, fornendo informazioni. «Quando arrivano», continua uno dei ragazzi, «li mettiamo al corrente di cosa accade, cosa stanno per fare le forze di sicurezza».

IL CONFINE NON È PRESIDIATO. Al di qua del confine, lontano dai centri che solitamente Boko Haram prende di mira, le azioni terroristiche sono cresciute negli ultimi mesi. Lo conferma anche il governatore del dipartimento di Diffa, Inoussa Saouna: a dicembre sono stati arrestati più di venti uomini legati ai terroristi. Avevano in programma il rapimento di alcuni politici e ufficiali militari. I blitz sono agevolati dalla labilità del confine tra i due Stati: le truppe armate faticano a presidiare i passaggi, e nei mesi di caldo è facile passare, anche con le automobili, attraverso il fiume Komadougou, le cui acque non arrivano oltre il ginocchio. Per altro è così che tanti civili sono fuggiti verso Diffa in cerca di pace: il reporter della Bbc racconta di un villaggio, Guessere, dove si è rifugiata più di metà della popolazione di Gashagar, paese della Nigeria.

NON CI SONO CAMPI PROFUGHI. Seguendo il corso del fiume si arriva al lago Chad, le cui acque bagnano entrambi i paesi: l’Onu stima che ogni settimana 500 nigeriani passino in Niger attraverso questo bacino. Chi è arrivato qui cerca di organizzarsi e di lavorare con quel che c’è. Come ha fatto Mouralla Souleymane, che adesso guida canoe e trasporta merci a Krikri. È arrivato un mese fa, due mogli e sei figli al seguito: «Stavo andando a letto quando ho sentito i primi colpi di pistola», ricorda il giorno in cui è fuggito dalla Nigeria. «Abbiamo cominciato a correre per scappare, una giovane ragazza è stata colpita mentre tentava di uscire dalla sua casa in fiamme».
Più i mesi passano e più i disperati aumentano nelle terre di confine del Niger. E adesso le autorità temono che l’assenza di veri e propri campi profughi faccia sì che, tra i tanti disperati fuggiti, Boko Haram abbia vita facile a reclutare nuove leve. Nuovi ragazzi da strappare alla povertà e assegnare ad un kalashnikov, in cambio di pochi soldi, droga e alcool.

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