Conservatori che non se la passano bene. I primi 100 giorni da incubo di Sunak

Altro che Giorgia Meloni. Il premier e leader dei Tory alle prese con un partito diviso, un governo in difficoltà, Labour in crescita e il ritorno ingombrante di Boris Johnson

Il premier britannico Rishi Sunak esce dal 10 di Downing Street (foto Ansa)

Non se li aspettava certamente così i suoi primi 100 giorni a Downing Street il premier britannico Rishi Sunak. Se la sua alter ego italiana, Giorgia Meloni, può dire di avere superato il primo tagliando di governo in maniera anche migliore rispetto a quanto si pensasse, lo stesso non si può dire per l’ex Cancelliere dello Scacchiere Tory, che si trova in una situazione tutt’altro che invidiabile, con il fiato del partito sul collo e il Labour che quasi doppia i Conservatori nelle preferenze dei britannici nelle intenzioni di voto.

Conservatori che passano da una crisi all’altra

L’ultimo episodio che ha fatto nuovamente crollare le azioni dei Tories è di domenica scorsa, con il Primo Ministro trovatosi costretto ad allontanare dall’esecutivo il Presidente del partito Conservatore – ruolo con rango governativo in UK – Nadhim Zahavi, reo di avere violato il codice di condotta ministeriale più volte per un condono relativo alla sua dichiarazione dei redditi. Sunak ha aspettato il responso del suo ethics advisor – una sorta di consigliere che si occupa sugli standard delle istituzioni – ma non ha potuto fare a meno di sollevare Zahavi dall’incarico.

Si è così aperta una nuova crisi interna al partito e tra il governo e l’opinione pubblica britannica. Arrivato a Downing Street con l’intento di recuperare l’integrità morale e la credibilità danneggiate dallo scandalo del partygate, Sunak si mostra incapace di tenere fede alle sue promesse, circondato da ministri e parlamentari che sembrano volerlo mettere costantemente in difficoltà. Incombono, infatti, sul suo governo anche le accuse di bullismo al vice-premier Dominic Raab, uomo-chiave nella raccolta del consenso di Sunak per la sua marcia verso Downing Street lo scorso ottobre.

Sunak, il tecnico che non riesce a salvare i Tory

I Tories sono ripiombati sotto il 30 per cento nei sondaggi (secondo alcuni sarebbero addirittura al 24). Non c’è stato alcun effetto-Sunak sull’opinione pubblica, il partito viaggia spedito verso il suo peggior risultato di sempre alle elezioni. Un risultato che ne metterebbe a rischio la sopravvivenza politica. Dopo gli scandali che hanno travolto Johnson e il suo esecutivo, e il clamoroso defenestramento di Liz Truss a 45 giorni dall’invito a formare il suo governo, i Conservatori non si sono più riavuti. Certo, pesano le divisioni interne al gruppo parlamentare, quelle territoriali emerse dopo le elezioni del 2019 e il tradizionale antagonismo tra i post-thatcheriani e i One Nation più moderati, ma è la percezione di un partito alla deriva politica e morale a fare maggiormente breccia nell’opinione pubblica.

Sunak si presenta come un super-tecnico competente, che ha fatto gli studi giusti e si trova al posto giusto, ma non si può mettere tra parentesi la politica dalla politica stessa. Lo scorso mese di ottobre, la finanziaria del suo Cancelliere Jeremy Hunt ha riparato i danni fatti dal duo Truss-Kwarteng, ma ha messo allo scoperto le profonde lacerazioni in casa Tory. Se il partito ha alzato le tasse come non mai dal 1945 a oggi, quale sarebbe diventata la missione del conservatorismo moderno? Hunt, che si dice voglia portare il Regno Unito verso una convivenza con Bruxelles più vicina al modello svizzero che non a quello sognato dai Brexiteers, ha gelato parlamentari ed elettorato affermando che nel Budget del prossimo mese di marzo non ci saranno tagli alle tasse. C’è da scommetterci che la destra Tory lo aspetti al varco per tornare sul piede di guerra.

E poi c’è Boris Johnson

E poi c’è Boris Johnson. Che si atteggia e si comporta come se il leader Tory fosse ancora lui. Non contento dei milioni di sterline incassati per le sue memorie e per i suoi discorsi all’estero, l’ex Premier continua a essere la vedette dell’Occidente sulla guerra in Ucraina, e non perde l’occasione per pungere il governo Sunak su Brexit, tasse – che lo stesso Johnson aveva alzato – e futuro del partito. Tra gli iscritti è ancora lui il preferito: Rishi non scalda i cuori come BoJo, e si racconta che tra i corridoi del potere a Westminster i johnsoniani stiano tramando per riportare l’ex premier a Downing Street entro la fine del 2023 e consentirgli di sfidare il Labour di Starmer alle prossime elezioni nel 2024. Fantapolitica? Chissà.

Intanto, il Labour, senza fare un granché, se la gode. Un recente sondaggio ha mostrato che la maggioranza degli elettori alla domanda «Quali sono le cose in cui crede Sir Keir Starmer?», ha risposto in prevalenza “Non so”. Non esattamente un grande biglietto da visita per un Primo Ministro in pectore. Ma Starmer, a differenza di Sunak, ha il vento in poppa, ha sistemato casa purgando i corbyniani e la sinistra radicale dai vertici del partito, e non è soggetto alle critiche e allo scrutinio mediatico di chi sta al Governo. Molti analisti considerano inevitabile un esecutivo Laburista nel 2024, quattordici anni dopo l’ultimo guidato da Gordon Brown.

Cosa può fare Rishi Sunak

Cosa può fare, quindi, Rishi Sunak, per cambiare il corso della partita? Innanzitutto sperare che, come sembra, la spirale inflattiva si fermi. Poi, augurarsi che le previsioni su una recessione in UK nel 2023 siano sbagliate. Infine, risolvere le questioni che più interessano l’elettorato che nel 2019 ha votato a valanga per Johnson: l’immigrazione clandestina e la Brexit, magari cominciando con la spinosa vicenda del Protocollo Nordirlandese. Il Premier, però, non sembra avere sufficiente spinta e forza politica per andare oltre il galleggiamento. Se gli sono mancate nei suoi primi 100 giorni – quelli, di solito, della luna di miele tra il neoeletto e l’opinione pubblica – potrà mai averla quando tra i Conservatori è già partito il grido di “si salvi chi può?”

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