La sinistra si tenga pure la sua egemonia. Noi pensiamo all’Italia e al mondo

Anche quelle procure che negli anni hanno perseguito e condannato in una infinità di processi Silvio Berlusconi possono rientrare nella idea di “egemonia” fiore all’occhiello della sinistra italiana dagli anni Cinquanta. Ma nel 2013 ha ancora senso parlare di egemonia culturale di una ideologia politica?

La cultura delle destre. Alla ricerca dell’egemonia di Gabriele Turi, uno storico fiorentino, sembra scritto negli anni Cinquanta, quando la sinistra era sicura che i filosofi potessero prevedere il futuro e Marx avesse la palla di vetro. Gramsci basò la teoria dell’egemonia culturale sul paradigma hegeliano e marxista della previsione del futuro, Isaac Asimov ci avrebbe fatto una fortuna inventandosi la “psicostoriografia” nel ciclo della Fondazione, ma la storia ha dimostrato che il futuro non è prevedibile. Quando Gramsci scriveva negli anni Trenta non era prevedibile né la fine del comunismo in Russia, né la Cina comunista capitalista finanziatrice del debito pubblico americano: la realtà si  beffa delle ideologie e qualsiasi filosofo serio dovrebbe smettere di credersi un mago.

Lo stessa fede che il progresso tecnico scientifico produca necessariamente un miglioramento economico, politico, morale dell’uomo e della società è tramontata. Il progresso tecnico scientifico produce la distruzione creatrice nel capitalismo ma comporta disoccupazione, povertà, disperazione per i ceti del sistema produttivo superato, e benessere per quelli del nuovo ciclo. Nel turbocapitalismo la finanza prevale sull’economia e prevedere il futuro è piuttosto difficile come si è visto con il capitombolo americano degli anni scorsi.

Gramsci credeva fosse possibile cambiare la direzione politica ed economica di una società cambiando la “sovrastruttura”, imponendo attraverso l’università, le riviste, i giornali, le case editrici, una nuova visione del mondo, che avrebbe investito la società nel suo complesso, modificando la struttura economica e le istituzioni dello Stato. È quello che ha fatto il Pci dagli anni Cinquanta.

L’egemonia culturale del Pci nell’università, nella magistratura, nei media però non fece vincere le elezioni politiche al Pci neppure nel ’94, con tutti gli avversari politici allora sulla scena eliminati da Mani Pulite. Eppure il talk più seguito delle tv berlusconiane era stato per anni il Costanzo Show e Maurizio Costanzo ha sempre dichiarato di aver votato Pci, poi Pd, ed è uomo di sinistra. La Mondadori e l’Einaudi berlusconiane continuano a essere guidate da redazioni di sinistra, pubblicano autori di sinistra, ma l’ex Pci o Pd non supera il 30 per cento alle elezioni.

Neppure le mobilitazioni paraspontaneistiche di qualche anno fa come i girotondi, alle quali ci chiediamo se ha aderito anche Gabriele Turi, hanno fatto aumentare gli elettori dell’ex Pci. Nelle ultime elezioni politiche il Pd ha visto nascere alla sinistra il movimento di Grillo che si rivolge proprio contro le caste piddine. Una cultura con il senso della realtà si sarebbe posta il problema della qualità della propria egemonia dopo sconfitte brucianti come quella del ’94 o del 2013, però alla cultura di sinistra non interessa tanto vincere e governare, ma mantenere le posizioni acquisite e per mantenerle deve  definire cialtroni, ladri e privi di senso civico gli elettori di centrodestra.

Per il sociologo Luca Ricolfi (“La sinistra che nega la realtà”, la Stampa, 28 luglio) il ridicolo appello di Umberto Eco contro gli elettori di Berlusconi si spiega solo con l’accecamento ideologico. A Ken Follett e Dan Brown, scrittori di romanzi storici di fama mondiale, non verrebbe mai in mente un appello contro gli elettori di un partito conservatore britannico o americano, perché in Gran Bretagna e negli Stati Uniti non è neppure concepibile uno scrittore che fa appelli elettorali o politici.  Né Anthony Giddens, autorevole sociologo inventore della “Terza via” di Blair alla London School of Economics avrebbe mai pensato di  mettere su un movimento di folkoristici girotondi e andare in giro per l’Europa a chiedere soccorso contro la Thatcher. S’inventò un modello di socialismo nuovo, qualcosa di più impegnativo dei girotondi e degli “aiuto, aiuto, sono tornati i fascisti!”.

Il libro di Turi sembra uscito dalla mente di uno dei pazienti di Oliver Sacks, ma a differenza di Risvegli lo storico fiorentino  non riesce connettere passato, presente e futuro fuori dalla sua particolare visuale. Turi probabilmente immagina perfino che le destre ( e per Turi poi le destre si riducono tutte a Dio, patria e famiglia)  stiano conquistando, con potenti giornaloni come l’Occidentale, l’egemonia culturale, riportando l’Italia al fascismo.

Non si comprende cosa Turi abbia capito del fascismo studiando l’Enciclopedia Italiana, omologa della Britannica, e scrivendo una biografia del filosofo Giovanni Gentile. A differenza del comunismo, il fascismo non ebbe un’ideologia uniforme e agguerrita sul piano dottrinale come il marxismo, perché fu sostanzialmente eclettico. Se il laico Gentile teorizzava lo Stato etico, Mussolini, che non era cattolico, firmò il Concordato con la Chiesa cattolica per ragioni politiche, dimostrando dunque sostanziali differenze in proposito.

Il libro di Turi, uno storico contemporaneo, evidenzia le carenze dell’organizzazione della ricerca e della didattica nei nostri dipartimenti di storia, dove dovrebbe essere anche considerata la geografia. Vi sono numerosi corsi sul fascismo, ma pochi sulla storia dell’Europa e se cominciano a essere presenti insegnamenti sugli Stati Uniti, del tutto assenti sono l’Asia, l’Africa, l’America latina, il mondo arabo. Invece di vivere in qualche angolo del passato italiano, non sarebbe il caso di cominciare a uscire dagli archivi del fascismo, rimettere in discussione anche i dogmi sacri come l’egemonia, risvegliarsi e gettare uno sguardo sul mondo?

tratto da loccidentale.it

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