Macché sciopero, ormai i lavoratori credono più a Babbo Natale che a Landini

Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini (foto Ansa)

Su Fanpage Annalisa Cangemi scrive che «la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha detto che bisogna intervenire per penalizzare i paesi Ue che non partecipano alla ridistribuzione dei migranti». In alcune occasioni la Lamorgese ha dimostrato una seria capacità organizzativa, per esempio regolando con cura l’organizzazione del G20 a Roma. In altre si è dimostrata del tutto inadeguata. Quando può operare come prefetto rivela la stoffa del civil servant efficace, quando si imbatte in questioni politiche è spesso disastrosa. In realtà sulle questioni della sicurezza è indispensabile una particolare dialettica tra finezza politica e geometria poliziesca. Questo è il motivo per il quale nelle democrazie strutturate il ministro dell’Interno è sempre figura squisitamente politica. Mentre di norma solo in qualche degradata repubblica sudamericana viene in mente di nominare un prefetto o un poliziotto in un incarico così delicato.

Sulla Zuppa di Porro Corrado Ocone scrive: «Sembra che Enrico Letta, rimasto spiazzato, abbia iniziato una trattativa con i due reprobi per farli rientrare dalla loro decisione». In realtà probabilmente Lettino un giorno ha espresso la sua solidarietà allo sciopero di Cgil e Uil, e il giorno dopo la sua solidarietà alla Cisl tagliata fuori e a Mario Draghi offeso, secondo il suo stile espresso con nettezza una settimana prima: facciamo un campo largo con Silvio Berlusconi per isolare i sovranisti, facciamo un campo largo con Giorgia Meloni per impedire a Berlusconi di essere eletto presidente della Repubblica.

Su Huffington Post Italia Fabio Lupino descrive così l’atmosfera pre-sciopero nelle scuole: «“Professore’, allora domani non entriamo…?”, “Perché?”, “Ma nun scioperate?”, “Guarda no, anzi domani stateci tutti che interrogo…”». Ormai in tanti ambienti del lavoro ci sono più adulti che credono a Babbo Natale di quanti credono a Maurizio Landini.

Dagospia riprende un articolo di Gianluca Paolucci sulla Stampa nel quale si descrive «la guerra più bizzarra del mondo, quella per le Generali. Combattuta con durezza, spregiudicatezza e con il ricorso alle architetture finanziare più disparate». Tra le tanti bizzarrie intelligentemente riportate non c’è però un’adeguata attenzione alla centralità di un management autoreferenziale a spese dei propri soci. La vecchia magia cucciana nel guidare ma rispettandola la parte centrale del capitalismo italiano, sembra proprio dispersa.

Dagospia riprende un articolo sulla Repubblica della magnifica Sara Bennewitz nel quale si scrive che «fonti finanziarie riferiscono che Gubitosi potrebbe dimettersi a valle del cda del 17». Forse qualche parola in più su un amministratore delegato che si dimette dall’incarico e resta nel consiglio d’amministrazione non sarebbe stata sprecata. Il circo Italia ci ha abituato a molte stranezze ma, come si dice, ogni pazienza dovrebbe avere un suo limite.

Su Dagospia si scrive: «Il gruppo parlamentare del Movimento 5 stelle assesta un altro schiaffone a Conte. Davide Crippa, da sempre vicino a Beppe Grillo e Luigi Di Maio, è stato rieletto capogruppo dei grillini alla Camera dei deputati». Questa stagione natalizia è caratterizzata da una sfida incalzante tra chi è più ridicolo tra Giuseppe Conte e Enrico Letta. Oggi giorno i due ne studiano una per prevalere.

Su Open si scrive: «Le commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera hanno stabilito che “non è punibile chiunque sia stato condannato, anche con sentenza passata in giudicato, per aver agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria medicalmente assistita”». Due questioni: sono spiegati i princìpi giuridici che consentono di fare leggi con valore retroattivo? E, poi, mentre è giusto avere un atteggiamento comprensivo per vicende tragiche come la terribile scelta di suicidarsi, non si ritiene invece che burocratizzare e desacralizzare la morte sia un ulteriore elemento di disgregazione di una società già assai disgregata?

Su Atlantico quotidiano Musso scrive che «in Germania si forma un nuovo governo e, In Italia, va diffondendosi il solito – napoleonico, menzognero, allucinato – ottimismo. Disturbato solo dalle angosciate domande di Rino Formica: “In Germania c’è l’inflazione al 6 per cento… l’8 dicembre cambia il governo in Germania; che succede, per l’Italia e per l’Europa?”». Musso è come sempre informato, la sua disamina delle posizioni dei vari esponenti tedeschi (non solo liberali ma anche socialdemocratici compreso il prossimo presidente della Bundesbank) è molto accurata. Un ottimo lavoro per mettere alle corde i nostri Pangloss che si caratterizzano per il loro ottimismo della stupidità intrecciato al pessimismo dell’ignavia (non fate niente, lasciate lavorare i manovratori che quel che faranno andrà comunque bene). Detto questo, mi pare che il quadro politico sia più complesso di quello descritto da Musso e che mentre vada sempre coltivato il pessimismo dell’intelligenza, bisognerebbe lasciare anche qualche spazietto all’ottimismo della volontà.

Su Startmag Paola Sacchi scrive che «l’annuncio di una candidatura unitaria del centrodestra per le suppletive di Roma sta a dimostrare… che [non è vero che] la Lega non sia più avversaria politica del leader di Iv, che ha già fatto trapelare l’ipotesi di un nome renziano nel collegio di Roma/1». Insomma Giorgia Meloni e Matteo Salvini avrebbero un po’ la sindrome dei polli di Renzo, ma non quella dei polli di Renzi?

Sul Sussidiario l’economista Massimo D’Antoni dice: «Un piano personalizzato negoziato con l’Ue vorrebbe dire per il nostro paese sottoporsi a un giudizio di merito da parte di Bruxelles sulle politiche attuate dal governo nazionale. Dal vincolo esterno non si scappa». Questo è lo scenario nel quale si sceglierà il presidente della Repubblica con una parte di establishment che chiede di tenere Mario Draghi a Palazzo Chigi per commissariare ancora la politica (avremo poi così una lista “Fedez” al 30 per cento e una “Cacciari” al 15) , e una parte dell’opinione pubblica che auspica un Quirinale draghiano che protegga un ritorno di una politica capace di garantire un’autonomia strategica (per quanto vincolata) del nostro paese.

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