Sanese: «I figli hanno bisogno di dipendere da genitori autorevoli con un’identità stabile»

La psicologa della coppia e della famiglia, Vittoria Sanese, commenta a Tempi.it i recenti casi di cronaca nel rapporto tra genitori e figli: «Il genitore con il bambino deve essere autorevole. Non indicando principi astratti, però, perché l'uomo segue una persona, non un principio. Il valore proposto al figlio deve essere incarnato nel genitore, che deve avere un'identità stabile»

E’ ancora in attesa di processo il papà barese denunciato in Svezia per aver dato uno scapaccione al figlio. Il piccolo frignava, deciso a non mettere piede in un ristorante di Stoccolma. La scorsa settimana, invece, i servizi sociali scozzesi hanno tolto ad una famiglia quattro figli, solo perché erano obesi e non riuscivano a dimagrire. Vittoria Sanese, psicologa della coppia e della famiglia, collega i due episodi con «la crescente debolezza della nostra identità genitoriale, che si riscontra nei commenti a questi fatti di cronaca».

Sarebbe a dire? «Non siamo capaci di entrare nel merito delle questioni. Per rispondere a come è giusto relazionarsi verso i figli, dovremmo prima chiederci qual è la nostra funzione di genitori. Invece, facciamo l’inverso: discutiamo se la regola è giusta o no, per poi cercare di definire il buon genitore. Se invece si affrontasse la domanda sull’identità, allora capiremmo, ad esempio, quando lo schiaffo è dannoso o meno, valutando caso e contesto». Sanese non ha, né dà manuali per le istruzioni, ma «un’unica regola: la relazione del bambino con il genitore deve essere autorevole, ossia deve implicare obbedienza. Ma attenzione non si possono far seguire ai figli dei principi astratti. L’uomo, infatti, è propenso a seguire una persona, non un principio. Il valore che si propone al figlio deve essere incarnato nel genitore, altrimenti il figlio non rimane colpito. Quindi, non obbedisce capendo. Ci deve essere un fascino nel valore, deve servire a vivere meglio. Solo se il genitore fa, e fa fare questa esperienza al figlio, allora il bambino diventa se stesso. Autonomo».

Sanese lo chiama “il paradosso dell’umano”, «che per crescere autonomo e acquisire un’identità propria, ha bisogno di una relazione. Al contrario di quanto si predica: si lascia che il bambino cresca da sé, così resta fragile e senza identità stabile». Questo è solo un esempio per cui la psicologa è convinta che oggi i genitori si preoccupino di seguire i valori che propone il mondo e di cui lo Stato si fa garante in modo violento. Lo dimostra anche l’ideologia salutista che tramite le istituzioni diventa pervasiva, fino agli eccessi attestati dalla cronaca inglese. «Il problema è che l’uomo d’oggi spesso non si accorge, ma sposta tutto fuori da sé. E così segue principi e regole dettati dalla mentalità dominante. Da qui la caduta, la perdita, non vorrei dire la morte, dell’identità genitoriale. Per questo, innanzitutto, va ripristinato il soggetto educativo: l’adulto che genera».

La cultura dominante avrebbe distratto da sé la persona. «Tanto che – prosegue la psicologa – pensiamo di essere liberi e anche che i nostri figli lo siano. Mentre ci muoviamo in reazione a schemi imposti». Come curare da questa alienazione? «Per liberarsi il genitore deve fare un lavoro molto complesso: tornare ad essere affascinato e attratto dalla relazione costitutiva del suo io che è “relazione”, “bisogno di”. L’io, infatti, si costruisce e impara se stesso solo dentro una relazione. E la prima è proprio tra figlio e genitore». Al contrario si segue il libertinismo, «come se il bambino potesse apprendere la sua identità da sé, e dall’altra si cercano misure per contenerlo. Così abbiamo bambini che a 2 anni esercitano una libertà di scelta propria di 25enni (una violenza contro la loro natura che è bisogno di dipendere), e che a 22/25 anni non hanno ancora un’identità stabile, perché cresciuti senza sapere chi sono».

Oppure si stabiliscono mille regole o proibizioni, sempre saltando la natura del piccolo: «Non lo si può lasciar scegliere, dire e fare come fosse un adulto, ma nemmeno pretendere che a 2 anni resti a tavola per ore e che metta a posto tutti i suoi giochi. Come non è in grado di scegliere da sé, non lo è neanche di contenersi tanto. Anche questa è la pretesa di un’autonomia che il bambino non può e non deve avere, se davvero si vuole che cresca con una identità stabile». Questi i motivi per cui i nostri figli sarebbero «da una parte sempre più intelligenti, capaci di prestazioni al pari degli adulti, dall’altra, essendo il loro processo psicologico bloccato a età minori della loro, sono pieni di ansie, paure di perdere il controllo, incapacità a seguire e ascoltare». Come uscirne? Quella della Sanese è più una provocazione, a cui può seguire una proposta, partendo da un punto fermo. «Per quanto il quadro sia preoccupante, resta il desiderio d’amore sincero dei genitori verso i figli. Non è assolutamente venuto meno. E come questo è naturale e inestirpabile nell’uomo, lo è anche la capacità genitoriale. Solo che bisogna assecondarla».

Perciò la psicologa sfida sempre le coppie «a interrogarsi, a guardare alla propria condizione di genitori da cui il bimbo dipende, perché ne restino affascinate. Se ci stanno, allora le aiuto a lasciare spazio a quell’autorevolezza che il genitore ha nel cuore e che, se fa attenzione, sente nel rapporto con il figlio come un’esigenza da soddisfare. Li aiuto a non avere paura di ascoltare se stessi, i loro veri desideri. Perché riscoprano in sé la capacità di crescere e amare i propri figli, senza lasciarsi confondere dalle proposte indotte dal mondo».

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