Rapporto Acs sulla libertà religiosa. In Medio Oriente si rischia la dittatura islamista

Presentato oggi a Roma l'XI Rapporto di ACS, che dipinge lo "stato" della libertà religiosa in 196 Paesi. Dagli arresti in Cina ai rapimenti in Iraq, passando per Africa, America, Europa.

In un anno è cambiato poco: la libertà religiosa è sempre a rischio in tanti Paesi, dove a soffrire non sono soltanto i cristiani (pur sempre comunque in maggioranza), ma fedeli di ogni credo. Dove? Si spazia in tutto il mondo: dagli Stati Arabi appena usciti dalla Primavera araba ai paesi più islamici dell’Africa, dai democraticissimi Usa all’Europa sempre più intollerante. La conferma arriva dal “Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo”, il report annuale della fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre: stamattina a Roma è stata presentata l’undicesima edizione alla presenza di tanti relatori, tra cui spiccavano l’islamologo gesuita Samir Khalil Samir, John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council, e l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede Francesco Maria Greco.

CINA, MA NON SOLO. 196 sono i Paesi che il Rapporto ha preso in considerazione: studi e analisi sulla libertà religiosa in queste terre, promossi da una fondazione sì di diritto pontificio, ma interessata alla libertà di tutti perché, usando le parole del presidente di ACS monsignor Sante Babolin, «un cristiano non può aderire sinceramente a Cristo Gesù se non sposa la causa dell’uomo. Il nostro intento non è solo quello di denunciare, dati alla mano, la precaria situazione mondiale della libertà religiosa ma anche offrire un’analisi della situazione politica e sociale, di contorno e della specifica condizione nella quale si dibattono le minoranze religiose». I dati parlano chiaro, e vedono tra gli Stati più liberticidi la Cina: troppi ancora gli arresti di cristiani, islamici e buddisti, che nel 2011 hanno raggiunto numeri record, e tante sono ancora le “contromisure” (si arriva fino ai campi di rieducazione lavorativa) verso quei cattolici fedeli a Roma che non aderiscono all’Associazione patriottica. Altrettanto critica pare la situazione nel mondo arabo mediorientale: costantemente vittime di rapimenti in Iraq, soggetti a irruzioni di polizia durante i loro momenti di preghiera in Arabia Saudita, liberi di professare la loro fede solo se stranieri in Marocco, la vita delle minoranze cristiane in queste terre è in quotidiano pericolo. Episodi di cui, per fortuna, in Europa si ha sempre più consapevolezza e attenzione mediatica: aumentano anche gli impegni legislativi del Parlamento Europeo per porre sempre più attenzione sul tema.

DOPO LA PRIMAVERA ARABA. «Stiamo prendendo una direzione pericolosa. Stiamo per tornare a un’epoca che ormai non conoscevamo più: quella del fanatismo religioso», è l’allarme lanciato da Samir Khalil Samir parlando del mondo arabo. È qui, insieme alla Cina, che per le minoranze cristiane la vita si fa sempre più dura. Lontani sono i giorni in cui la Primavera araba del Cairo portava in piazza assieme copti e musulmani, come già era successo appena prima dell’indipendenza egiziana negli anni Venti: «I cristiani formavano perfino una catena umana per difendere i musulmani dall’esercito durante la preghiera del venerdì, e viceversa la domenica quando erano i cristiani a pregare, protetti dai musulmani». Ad avere la meglio sono stati purtroppo i gruppi islamici più accesi, come i Fratelli Musulmani e i salafiti, col rischio di un passaggio da una dittatura politica a una religiosa. «I cristiani chiedono l’uguaglianza con gli altri e il rispetto della loro fede. Ed è quanto promesso dai nuovi governi: Morsi in Egitto, Ghannouchi in Tunisia. Nessuno però si fida di loro».

INDIA E ORISSA. Ma nel Rapporto ci sono voci da tutto il mondo: in Nigeria, Mali e Kenya le pressioni dell’estremismo islamico crescono con escalation che spesso arrivano anche nelle nostre televisioni, in India le violenze dei nazionalisti indù ai danni dei cristiani hanno superato quota 170 nel 2011, in Orissa si aspetta giustizia dal 2008, per il pogrom anticristiano nel distretto di Kandhamal. Una speranza c’è, e la lancia padre Samir: «Dobbiamo imparare insieme che la religione non è fatta per condannare chiunque, ma per aiutare tutti quanti ad essere più umani e più aperti ad ogni essere umano».

@LeleMichela

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