Ragioni per una presenza visibile dei cattolici nella società

La lezione di monsignor Manfredini nel 1976 davanti a un movimento di fedeli uniti dall’urgenza di difendere «l’incidenza dell’evento di Cristo sulla storia del mondo»

La copertina degli atti del convegno di Cl su “Pluralismo culturale, scuola e società”, svoltosi a Rimini nel 1976

Dopo la felice esperienza del convegno promosso nel 1975 sul tema “Per un scuola libera, popolare e democratica” (già presentato in più puntate di questo blog) viene riconvocato a Rimini, l’anno successivo, un convegno nazionale di insegnanti, dirigenti scolastici e genitori di studenti caratterizzato da un numero di partecipanti molto più numeroso della prima edizione. Il titolo del convegno è “Pluralismo culturale, scuola e società”. Il sottotitolo precisa, in sintesi, la questione fondamentale in gioco nella realtà scolastica italiana: “La scuola italiana tra cultura di Stato e pluralismo culturale”.

La copertina del libro che raccoglie gli atti del convegno allude già all’intenzione di articolare un giudizio critico, culturalmente motivato, circa la pretesa neutralità della scuola di Stato, dietro la quale si celava in realtà un progetto di egemonia radical-marxista. All’analisi critica si accompagnano proposte realistiche e costruttive su come favorire nella scuola statale una reale esperienza educativa, e su come superare la falsa neutralità attraverso la presenza viva di scuole autonome che animassero un vero confronto tra proposte educative rivolte ai giovani; l’obiettivo era creare un sistema pluralistico.

Quando il cristianesimo dà forma alla vita

Il convegno è un esempio storicamente interessante del tentativo di esprimere la soggettività politica e sociale dei cattolici in Italia negli anni Settanta (e successivi); era l’espressione di un movimento di insegnanti, genitori e dirigenti scolastici impegnati a giocarsi con una precisa identità nella scuola statale, e a generare scuole autonome grazie a un passione educativa, capace anche di accettare notevoli sacrifici (economici e non solo) per realizzare nuove opere scolastiche “autogestite”.

La mozione conclusiva evidenzia quello che viene definito un fenomeno rilevante nella società italiana:

«Una realtà di base che si va aggregando, organizzando e ampliando per dare forma alla vita in tutte le sue espressioni: si tratta di un Movimento Popolare presente in tutta la scuola come nella società, con una capacità costruttiva e creativa di pluralismo reale e di autentica democrazia».

Una «unità viva nella fede» come fondamento

Gli anni Settanta vedono sorgere in molte città italiane questo movimento che ha come obiettivo una presenza caratterizzata da una precisa identità e da una volontà di proposta e di costruzione, cioè positiva. Si mobilita così in quegli anni una generazione di cattolici impegnati nel sociale, persone oggi non più giovani che ancora mantengono la memoria di un movimento di popolo di cui sono state membra vive, dedito al servizio del bene comune con opere generate da un’identità precisa e da una mentalità nuova. A questo proposito la mozione conclusiva afferma:

«Questo Movimento Popolare nasce, nella società come nella scuola, fondandosi sulla unità viva nella fede».

Questa esperienza viva di unità tra le persone impegnate nella presenza nella società in diversi campi richiede una spiegazione sulla sua origine, sul significato dell’espressione “unità viva nella fede”. Spiegazione tanto più necessaria se si considera che questa unità veniva riconosciuta nel contesto sociale (e a volte osteggiata) come una novità sorprendente e capace di testimonianza operosa e costruttiva.

Contro la separazione tra Vangelo e realtà

A ciò rispondeva la lezione tenuta ai convegnisti da monsignor Enrico Manfredini, autorevole vescovo della diocesi di Piacenza, amico ed estimatore del Movimento Popolare. In premessa costui spiega: «Ci rivolgeremo con animo umile e libero a quei testi della divina rivelazione che ci danno una prospettiva globale del progetto di Dio sull’uomo, sulla sua storia». A partire da qui, spiega Manfredini, è possibile evitare in partenza

«quell’impostazione dualista che spesso si effettua quando, cominciando a porre sottili distinzioni astratte, si consuma praticamente il divorzio tra l’ordine naturale e quello soprannaturale, si riduce il Vangelo a ideologia, e si priva l’evento di Cristo di qualsiasi incidenza reale sulla storia del mondo».

Il riferimento al “dualismo” appare qui come una critica implicita all’impostazione di determinate associazioni cattoliche che, in quegli anni, caratterizzavano la loro identità come definita dalla “scelta religiosa”, cioè di fatto dall’idea che esistono due ambiti separati: quello della educazione alla fede e quello dell’impegno temporale.

Ogni esperienza cristiana autentica genera cultura

Da questa premessa si sviluppa tutta la lezione del vescovo, che diventa una spiegazione teologica e scritturale della convinzione caratteristica delle persone riunite nel convegno: se Dio esiste, e si è rivelato all’uomo, nulla della realtà umana e naturale gli è estraneo.

Manfredini prosegue illustrando due punti fondamentali:

1) Cristo è il vero senso e l’unica possibilità reale della vita. Cita sant’Ambrogio: «Cristo è tutto per noi».

2) Il Regno di Dio è il senso ultimo della vocazione del singolo, della storia umana e del destino dell’universo.

La seconda parte della lezione sviluppa il concetto dell’esperienza ecclesiale come «comunione di vita con Cristo e i fratelli»: è così che si forma un popolo nuovo.

Nell’ultima parte viene spiegato il rapporto tra esperienza ecclesiale e cultura:

«Ogni comunità ecclesiale, nella misura in cui vive autenticamente l’esperienza cristiana, determina una cultura cristiana».

E poi precisa che la comunità ecclesiale deve sforzarsi di tradurre integralmente i valori della sua professione di fede in una coerente esperienza di comunione.

Questa, in sintesi, è la spiegazione dell’origine di una presenza unitaria e socialmente visibile dei cattolici nella società civile: non sarebbe possibile spiegare con altra motivazione questo sorprendente desiderio di unità nelle espressioni culturali e nelle opere. Nella consapevolezza, conclude Manfredini, della relatività di ogni cultura cristiana:

«La cultura cristiana è storica come la vita della Chiesa, è sempre relativa all’esperienza ecclesiale d’una determinata situazione storica».

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