Qui si impara facendo. Se tutte le scuole fossero come questa, avremmo meno disoccupati (ma l’Italia le ostacola)

Una giornata tra i banchi di lavoro dell'Isis-Ipsia Meroni. Libro e lima, legno e trucioli. Gli stage e l'alternanza per aiutare i ragazzi a trovare un impiego. Un modello che andrebbe valorizzato


Per anni, ogni mattina, Andrea ha infilato in cartella il camice da lavoro. Un grembiule di colore blu o marrone, di stoffa dura e resistente, adatto ad affrontare un’impegnativa giornata di scuola. Per anni quel camice, tra un’ora di italiano e un’altra di matematica, ha preservato immacolati i suoi vestiti mentre si esercitava con squadre, sgorbie e scalpelli nell’arioso laboratorio di falegnameria. Ha questo di affascinante l’Isis-Ipsia Giuseppe Meroni di Lissone (MB): è un luogo dove, letteralmente, si impara facendo, dove teoria e prassi vanno a braccetto, senza che l’una o l’altra sia stimata di rango superiore. Esiste un'”intelligenza manuale” che solo una boriosa tendenza culturale italiana può ritenere inferiore. Invece si può imparare col libro, ma anche con la lima. Seduti e chini sui manuali, ma anche in piedi con le scarpe che sfregano tra i trucioli.
Tutto si tiene nella scuola di Lissone. E funziona. Come, a fine giornata, testimoniano tanti camici sporchi. Certo, senza nulla lasciare al caso, perché anche chi “impara facendo” ha sempre bisogno di un maestro, che, in questo caso, non sta solo dietro la cattedra a impartire la lezione, ma gira tra i banchi di lavoro, mostrando come manovrare sofisticati macchinari di taglio a controllo numerico. Perché questo è il Meroni: Istituto del legno, del mobile e dell’arredamento, dei servizi commerciali aziendali e del turismo, della grafica e della comunicazione e liceo artistico con indirizzo di design.


L’IMPORTANZA DELLO STAGE.
 Andrea si è diplomato da meno di un anno e già lavora. Quando ripensa ai giorni di scuola al Meroni, ne parla con orgoglio. «Ho amici che stanno facendo l’università – confida a tempi.it –, ma mi dicono di non aver nessuno che insegni loro come tradurre in pratica tutta la teoria appresa sui libri». Andrea, invece, ha avuto questa fortuna, grazie soprattutto a uno stage presso un artigiano locale. Uno stage di tre settimane che la scuola ha fortemente voluto inserire nel piano studi e che, nel suo caso, ha iniziato a dare i frutti sperati. “Imparare facendo”, già a partire dagli anni di scuola: è questo il trucco.
Anche Sofia, compagna di classe di Andrea, è diplomata da meno di un anno e già lavora per un’impresa che si occupa di arredamenti e interni. Ha sempre avuto il pallino per i negozi e l’alta moda e, quando si trattò di scegliere dove svolgere lo stage, seguì questa sua inclinazione, misurandosi in un’azienda specializzata in arredamenti su misura: «Le prime volte che andavo in negozio – racconta a tempi.it -, quasi non sapevo nemmeno come rapportarmi con i clienti, ma pian piano ho imparato a farlo senza più alcuna difficoltà. Non tutti i miei coetanei, purtroppo, hanno avuto l’occasione di poterlo imparare prima di finire la scuola».

GLI STUDENTI E LE AZIENDE. Storie come quelle di Andrea e Sofia sono la regola e non l’eccezione al Meroni di Lissone, una scuola che ha alle spalle 130 anni di tradizione ed esperienza nella formazione professionale dei tecnici del legno e che, nell’anno accademico in corso, conta 912 iscritti, per un totale di 39 classi e 6 diversi indirizzi. In particolare, è dal 2005 che gli alunni delle classi terze, quarte e quinte, godono dell’opportunità di svolgere periodi di alternanza tra scuola e lavoro. Si tratta di due settimane di stage in terza e tre in quarta, da svolgersi tra il primo e il secondo quadrimestre; più altre tre settimane in quinta, a settembre, cominciando una settimana prima dell’inizio delle lezioni. Per un totale di circa 330 alunni coinvolti ogni anno. A queste si somma la possibilità di partecipare a percorsi di orientamento al termine degli studi, finanziati per lo più grazie a iniziative regionali come la Dote Lavoro e il progetto Fixo, che sono volti ad aiutare i diplomati a trovare tirocini extracurriculari adatti ad affinare la loro formazione.
Ciò non esclude affatto la possibilità di proseguire con gli studi di formazione professionale superiore o in università, soprattutto architettura e ingegneria. Spesso, però, sono le aziende del territorio a cercare direttamente i diplomati del Meroni per fare loro una proposta, magari dopo aver già avuto l’occasione di conoscerli durante le esperienze in alternanza. E non è raro nemmeno che qualche studente si prodighi per replicare gli stage in azienda già durante la pausa estiva, sia per crescere professionalmente sia per pagarsi le prime vacanze.

PICCOLE E GRANDI IMPRESE. Eugenio Perego, docente da vent’anni al Meroni e responsabile delle attività in laboratorio e organizzazione degli stage, ci racconta che «negli ultimi dieci anni i nostri diplomati hanno tutti trovato un impiego nei primi sei mesi dal conseguimento del diploma, anche dopo che è scoppiata la crisi. E le aziende del territorio vorrebbero avere i nominativi dei nostri studenti già prima del termine del quinto anno».
Le aziende coinvolte nei programmi di alternanza sono le famose piccole e medie imprese a conduzione familiare, tanto bistrattate eppure tanto essenziali alla nostra economia. Ma non mancano anche nomi più altisonanti, anche se, prosegue Perego, ciò che conta è che l’esperienza dello stage, ovunque sia, segni una maturazione del ragazzo, professionale e umana. «E le assicuro che quando tornano sono tutti entusiasti, perché hanno messo in pratica ciò che hanno imparato a scuola». Senza contare, poi, che, «il fatto di trovarsi per la prima volta a dover fare i conti con una normale giornata lavorativa di 8 ore, li responsabilizza. Lo stage, infatti, è la prima occasione in cui i ragazzi si trovano, in un certo senso, da soli, anche se sono sempre seguiti da un tutor di riferimento».

UNO STATO POCO LUNGIMIRANTE. Un metodo intelligente, una scuola pubblica che funziona. E che fa lo Stato? La ostacola. Il Meroni, come tutti gli istituti professionali, ha subito a suo tempo l’ingiustificato taglio delle ore di laboratorio da 9 a 5, contestualmente alla riduzione dell’orario di lezioni da 40 a 32 ore settimanali. Come chiunque in Italia voglia spingere l’acceleratore sull’alternanza tra scuola e lavoro, anche il Meroni si imbatte in una serie di complicazioni burocratiche da mettersi le mani nei capelli. Se gli stage funzionano, aiutano gli studenti a imparare, magari aprono loro qualche possibilità di impiego, perché lo Stato non sprona le aziende a impegnarsi in tal senso? Se lo chiede il preside del Meroni, Roberto Pellegatta, rammaricato per la poca lungimiranza del nostro paese che, «a differenza di ciò che succede in Germania, ma anche in Francia, Portogallo, Olanda e Danimarca, non corrisponde alcuna forma di incentivo alle imprese per sostenere l’alternanza».
«In Germania, dove l’alternanza è valorizzata al massimo – prosegue Pellegatta –, la disoccupazione giovanile è al 7 per cento; da noi, invece, è superiore al 40 per cento e oltre 2 milioni di giovani non studiano né lavorano». Queste sono le conseguenze di un sistema che non valorizza l’originalità e la ricchezza della sua scuola pubblica, nemmeno – e questo è il “delitto” più grave – laddove essa funziona e dà risultati.
Senza contare, aggiunge Pellegatta, che «anche lo schema di decreto interministeriale tra Istruzione, Finanze, Politiche sociali e Lavoro su apprendistato e alternanza rischia di rivelarsi, purtroppo, l’ennesima delusione, perché aumenta, le difficoltà (obblighi e vincoli, prescrizioni e documenti) delle aziende e il centralismo dello Stato. Ribadendo, ad ogni rigo, che ogni tentativo di percorsi in alternanza tra scuola e lavoro può avvenire senza oneri per la finanza pubblica».

@rigaz1

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