Quelle diaboliche sincronie fra i miliziani del jihad e i militanti dell’amore

Tutto dice di una guerra mondiale a pezzi, combattuta a molte dimensioni: di potere sui cuori anzitutto. Si tratta dovunque del tentativo di sottomettere le coscienze

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Ci sono state due sincronie, anzi, se vogliamo tre. Diaboliche? Di certo non angeliche. Anche se l’unica risposta efficace dev’essere di tipo angelico, sapendo che gli angeli sono coloro che tengono unite la vita delle stelle e quelle degli umani. Cominciamo dalla prima sincronia. Quella degli attentati. Impossibile non sentirsi stringere un nodo alla gola, di dolore e di paura, osservando la coincidenza di quattro attentati in tre continenti. Altro che lupi solitari. C’è un disegno.

Gli esperti di intelligence negano ci sia però una sorta di ordine proveniente da una stanza dei bottoni internet: l’avrebbero scoperta. E allora? C’è una comunicazione diabolica. Diavolo, etimologicamente, è il contrario di comunicazione. Viene da dia-ballo: divido, spezzo, separo. Vuol dire che i jihadisti hanno agito all’unisono perché hanno colto che qualcosa di profondo si era spezzato nel mondo. Il Papa continua a richiamare contro il diavolo che ruggisce dovunque. È evidente che questo assalto universale esige per essere fermato una coesione a tutti i livelli. Sociale, e cioè tra le persone. Politico, a partire dai paesi e dalle città. Fino a Roma. Fino a Bruxelles. Fino a Washington e oltre.

E qui siamo alla seconda coincidenza. Proprio un istante dopo le stragi della Tunisia, del Kuwait e della Somalia, qualche ora dopo la decapitazione di Lione, Obama ha twittato: “L’amore vince”. Ovvio. Parlava d’altro. Si riferiva alla decisione della Corte suprema. Incredibile però. Mentre i guerrieri del Diavolo (non oso pronunciare qui il nome di Dio in arabo) ci scannano e si propongono di conquistarci, in America si stappa champagne per la dichiarazione del diritto ai matrimoni gay.

Terza coincidenza. Manifestazione clamorosa, colorata, coreografica, a favore di tv del Milano Pride. Cioè da noi si pensa di insegnare ai bambini l’educazione gender, secondo cui si decide da soli se essere più maschi o più femmine o un po’ tutt’e due, e si proclama come diritto la rottura del mandato originario che c’è già in Genesi, spezzato per opera del serpente…

Lo so che sono matto a cercare e trovare legami dove c’è separazione, dove da una parte si afferma il nichilismo del sangue e dall’altra quello dell’amore ridotto a sentimento senza nesso con la creazione (vedi enciclica Laudato si’, paragrafi 120, 136, 155). Lo so che sono tutti innocenti. Nessuno sa quello che fa, forse. Né gli assassini con coltello, bombe e kalashnikov, né – su un piano sincronico – Obama e gli altri. Ma tutto questo dice la guerra mondiale a pezzi, che è combattuta a molte dimensioni: di potere sui cuori anzitutto. Si tratta dovunque di voler sottomettere le coscienze, o tramite la sharia o per via di un’idea dell’umano dove la creatura uomo-donna pensa di essere creatura di se stessa, di non obbedire più al dono ricevuto, ma di ribaltarlo ripetendo la ribellione dell’Eden. Ma sì, rinchiudetemi, sono matto.

Chi salverà la bellezza?
Avrei voluto parlare d’altro. Avrei voluto parlare della bellezza. Perché la bellezza ha una capacità di rendere più bella la vita, più desiderosi di difenderla e di comunicarne il significato. Dunque ci fa forti. Il jihad vince e ci sottomette se scivoleremo nel nichilismo, nel disgusto per ciò che è giusto e buono, tesi solo alla ricerca di un piacere estenuato. Un piacere senza godimento eterno, che piacere è? E questo lo dà solo l’essere immersi nella bellezza, nella sua creazione, nell’arte ma anche nel lavoro.

Ecco, io spero nella bellezza. Contro l’orrore. Una bellezza non imbelle, una bellezza difesa da un popolo robusto e unito. Infatti tutti citano Dostoevskij, e hanno ragione. Il grande russo scrisse: «La bellezza salverà il mondo». Ma occorre un popolo che salvi la bellezza. E questo compito tocca a noi.

@RenatoFarina

Foto Ansa/Ap

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