Ma invece dei preservativi, l’Onu non farebbe meglio a mandare in Laos i caschi blu?

È «lo Stato più repressivo del Sudest asiatico», ma il Guardian esulta perché finlamente è stato raggiunto dai programmi di "pianificazione familiare" dell'Onu

Evviva, esulta il Guardian. Evviva, esultano di rimando i suoi lettori nei commenti. Finalmente anche nelle zone rurali del Laos sono arrivati i programmi di pianificazione familiare e la distribuzione gratuita di preservativi grazie all’Onu e più precisamente all’Unfpa. Bene.

PILLOLA IN LAOS. L’articolo del quotidiano britannico sprizza gioia da tutti i pori perché era ora che le donne delle zone montagnose del Laos ricevessero pillole contraccettive e abortive, potendo così «decidere quando avere un figlio o quando rimandare la gravidanza». La pianificazione familiare, dicono gli esperti del governo e dell’Onu, è il primo passo per «ridurre la povertà». Ottimo.

LIBERAZIONE DELLA DONNA. È bello che l’Onu si occupi di un piccolo Paese del Sudest asiatico di sei milioni di abitanti ignorato dalla quasi totalità del mondo come il Laos. È importante che l’Onu abbia promosso la formazione di 1.500 ostetriche dal 2008. È edificante che l’organizzazione internazionale cerchi di istruire le donne per prime, che purtroppo «in molte aree sono ancora dominate dagli uomini».

REPRESSIONE RECORD. Però. Però l’Onu, quando riesce a trovare un attimo libero rubandolo alla distribuzione di preservativi, potrebbe anche fare qualcos’altro. Il Laos è stato nominato «lo Stato più repressivo del Sudest asiatico», superando campioni di democrazia come Myanmar, Malaysia, Vietnam, Cambogia e Singapore. È una delle ultime dittature comuniste esistenti al mondo e tutti i rapporti di tutte le associazioni per i diritti umani del mondo si sprecano per descrivere quante violazioni e abusi avvengono sotto il partito comunista ogni giorno.

STATALISMO ASSOLUTO. In un tema tanto caro all’Occidente e non solo, come l’economia, il Laos non ha mai seguito la via cinese e il controllo dello Stato è pressoché assoluto. Per quanto riguarda la libertà di stampa, tutti i giornali sono controllati dal partito comunista, motivo per cui è difficile persino conoscere i casi di abusi che avvengono nel Paese. Nel 2012, l’attivista forse più importante di tutto il Laos, Sombath Somphone, che osava sfidare apertamente il regime, è scomparso nel nulla. Da allora non se ne sa più nulla, chissà se l’Onu chiede ancora al governo la sua liberazione o almeno il suo ritrovamento.

NESSUNA LIBERTÀ. Protestare per qualsiasi motivo è proibito, manifestare significa «istigare la rivolta civile». La libertà di associazione non è prevista e chi organizza conferenze senza permessi viene arrestato. Per quanto riguarda la libertà religiosa, è meglio non parlarne: la comunità cristiana viene spesso picchiata, minacciata, arrestata, costretta a convertirsi al buddhismo e repressa in ogni modo. Non di rado, i cristiani vengono cacciati dai propri villaggi perdendo, con le case e i campi, anche la possibilità di sopravvivere.

I “TRADITORI” PERSEGUITATI. Infine, c’è il problema dell’etnia Hmong. Conosciuti come “gli alleati dimenticati degli Stati Uniti”, i hmong laotiani si sono schierati con Washington durante la guerra del Vietnam. Molti nel 1975, quando i comunisti hanno conquistato il potere, hanno abbandonato il Laos. Quelli rimasti sono costantemente presi di mira dal governo, considerati come traditori, perseguitati, arrestati e uccisi.

BISOGNI PRIMARI. Quando l’Onu avrà finito di distribuire quei preservativi che ai laotiani servono come il pane, che spesso scarseggia, magari potrebbe cominciare a occuparsi anche di questi piccoli problemi secondari. E portare in quegli stessi villaggi rurali dove le minoranze vengono costantemente perseguitate, invece che la pillola, i caschi blu.

@LeoneGrotti

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