Pensare la scuola come una “società naturale”

Essa sorge all’incrocio tra un diritto-dovere e una libertà. È questo “matrimonio” che genera la scuola come “societas” stabile nel tempo

Terzo di una serie di articoli. Il secondo è stato pubblicato qui: La Dad e una domanda: a cosa serve la scuola?

Vaclav Havel scrive, parlando dello sviluppo di quella che lui chiama la «vita nella verità», che si articola in reti di rapporti e relazioni indipendenti dalla ideologia: «A un dato grado del proprio sviluppo la vita indipendente della società non può fare a meno di certi elementi di organizzazione e di istituzionalizzazione».

La vita indipendente della società, quella che nasce “dalle intenzioni della vita e dai bisogni autentici degli uomini concreti” ha bisogno di istituzioni. Non di terminali periferici dell’amministrazione.

Note e contronote

Già un paio di settimane fa, con il pasticcio (per certi versi inguardabile) della scuola aperta per i figli dei “lavoratori essenziali” (è la stessa questione della richiesta della scuola in presenza: la domanda della gente che la scuola risponda educativamente al suo bisogno di non essere sola) il punto è emerso offrendo una prospettiva di sguardo interessante, sulla distanza istituzione / amministrazione.

L’inseguirsi tra domenica sera e lunedì mattina di note e contronote, di disposizioni e contrordini mentre le scuole cercano di comunicare, spiegare, organizzarsi e organizzare un servizio didattico e di presenza degno di questo nome, può aiutare a capire la fondamentale e negletta differenza tra istituzione (le scuole, libere perché espressione della creatività civile, e autonome, cioè presenza di una autorità pubblica capace di rispondere a bisogni diversi, con libertà e responsabilità) e amministrazione (uffici centrali che scrivono normative a volte senza considerare ovvie e immediate ricadute di quanto decidono, rispetto alle quali si presume che tutti debbano comportarsi applicandole).

Dualismo rapporto / istituzione

Il primo dato è questo: istituzione non è, o meglio, è più di amministrazione. L’impresa educativa (statale o paritaria) viene prima; l’intendenza, come diceva Napoleone, seguirà.

Perché insisto tanto sul punto? Perché è essenziale, per tentare uno sguardo autentico sulla scuola, oggi che il tempo che viviamo sembra chiedercelo con una urgenza nuova. Nel “non detto” di tutti quelli che hanno a che fare con la scuola, livello istituzionale significa livello amministrativo. È proprio qui tra l’altro che si innesta il dualismo tra scuola rapporto (vista come la vera scuola) e scuola istituzione (cioè le circolari).

Questo dualismo non aiuta per nulla a capire qualcosa dello specifico della scuola, che viene letta come una sorta di “male necessario”, di pretesto per l’educazione / rapporto (due anime che si toccano a prescindere dal contesto, dal senso e dallo scopo in cui questo accade). Dualismo giustificato quindi dal generale errore di prospettiva, ma in ogni caso erroneo e pericoloso.

Istituzione autonoma. Formazione sociale. Società naturale

La scuola (in quanto contesto stabile nel tempo fatto di cose che succedono secondo una organizzazione finalizzata a fare in modo che una cultura sia preservata, trasmessa, ricevuta e accresciuta, e in tutto questo alunni e docenti diventino più uomini, per il loro bene, e per quello di tutta la società in cui sono immersi – il famoso “villaggio” citato spesso da papa Francesco, che non solo educa, ma è interessato all’educazione e alla crescita umana dei suoi abitanti…) è l’istituzione. Istituzione autonoma (cioè in grado di darsi la norma – nomos – da sé). Istituzione essenziale, aggiungerei, e sentita come tale.

L’amministrazione (l’intendenza) è, o dovrebbe essere, ciò che provvede al sostentamento di questa istituzione (non a caso un tempo si chiamavano “provveditorati”), non la dimensione ultima di decisione dello scopo e delle condizioni di esistenza di ogni scuola.

La Costituzione “più bella del mondo”

Probabilmente non abbiamo mai considerato la scuola, per rubare le parole all’articolo 2 della Costituzione, come una delle “formazioni sociali”, all’interno della quale “si svolge la personalità” di chi la vive. Una formazione sociale, o, con forma più piena ed elegante, una “società naturale”, come sempre la Costituzione, all’articolo 29, definisce la famiglia fondata sul matrimonio.

Nel caso si potesse pensare alla scuola come a una “società naturale”, non potremmo che accorgerci che essa sorge all’incrocio tra un diritto-dovere (quello dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, come recita l’articolo 30 Cost.) e una libertà (quella dell’insegnamento: “Le arti e le scienze sono libere, e libero ne è l’insegnamento” – Art. 33 Cost.).

È questo “matrimonio” che genera la scuola come luogo, come esperienza, come spazio di vita, come “societas” stabile nel tempo. Come istituzione sociale.

Scuole gestite da privati

Alla quale, oltre ai già ricordati diritto-dovere dei genitori e libertà degli insegnanti, è connesso un obbligo, per gli alunni, di frequentare questa istituzione sociale, evidentemente ritenuta fondamentale per lo “svolgersi della loro personalità”.

In tutto questo, allo Stato (almeno a leggere il testo della Costituzione) spetta il compito residuo di dare le norme generali, di provvedere a che esistano (laddove non ve ne siano?) scuole di ogni ordine e grado in tutto il territorio nazionale e di non essere obbligato a contribuire finanziariamente alle scuole gestite “da Enti o da privati”.

(Aggiungo per inciso che apparendo chiara, ex art. 114 Cost, la non coincidenza tra Stato e Repubblica  -“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” -, e essendo la rimozione degli ostacoli che impediscono l’eguaglianza sostanziale dei cittadini compito della Repubblica tutta intera, non si vede perché Comuni o Regioni non debbano sostenere, nelle varie forme possibili e in ossequio all’art. 3 secondo comma Cost., tutte quelle istituzioni sociali e autonome non statali che permettono ai bambini e ai giovani di “svolgere la propria personalità”, agli insegnanti di esercitare la propria libertà di insegnamento e contemporaneamente alle famiglie di adempiere al loro specifico diritto – dovere di istruire e mantenere i figli).

“Se ci fosse una educazione del popolo, tutti starebbero meglio”

Tutto il resto, oltre a questo residuo compito dello Stato, è lo spazio delle scuole autonome, siano esse statali o non statali. Se questo spazio è stato riempito dalla normativa amministrativa e dalla modalità operativa dell’“atto-procedimento”, ciò è avvenuto abusivamente, ed è quello che blocca, soffocandola, non tanto l’autonomia delle scuole come concetto, ma la stessa esistenza delle scuole autonome, in quanto istituzioni sociali.

Tutto il resto è quello di cui abbiamo bisogno. Ne hanno bisogno quelli che chiedono che le scuole rimangano aperte. Ne hanno bisogno i bambini e i ragazzi. Le madri e i padri. I docenti. Il nostro paese. Il nostro presente e il nostro futuro incerto.

Tutto il resto è l’esistenza di luoghi secondo “l’intenzione autentica della vita”.

Se ci fosse una educazione del popolo, tutti starebbero meglio. 

(3 – fine) – foto Mira Kireeva da Unsplash

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