L’anno peggiore per il Pd e gli errori dell’Ue sul Covid

Debora Serracchiani ed Enrico Letta alla Camera durante il voto sulla manovra (foto Ansa)

Su Startmag Francesco Damato scrive: «La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al di là della “novità di grande significato sociale e culturale” riconosciuto da Mattarella all’arrivo della prima donna alla guida di un governo in Italia, “matura da tempo” – ha aggiunto il presidente della Repubblica – eppure giunta dopo 76 anni di Repubblica tutta al maschile, per non parlare della precedente Monarchia; la presidente del Consiglio, dicevo, ha tenuto a vedere nel messaggio del capo dello Stato nei riguardi suoi e del suo governo di centrodestra, anzi di destra-centro, “un incoraggiamento” di cui ha ringraziato quanto più pubblicamente non poteva. Ed ha fatto bene, dal suo punto di vista, dopo il carattere “compiuto e maturo”- ripeto- della democrazia italiana ravvisato da Mattarella nei risultati elettorali del 25 settembre scorso e nei loro “rapidi” effetti».

Giorgio Napolitano ha tentato di ricostruire la democrazia italiana dall’alto (il Quirinale) e da fuori (l’asse franco-tedesco): il risultato è stato più che deludente e il partito che doveva essere protagonista della “nuova fase” (il Pd) ne è uscito distrutto. Se Sergio Mattarella riuscisse, invece, a contribuire a ridare basi solide a una democrazia partecipata dai cittadini, questa sarebbe un’impresa memorabile.

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Sugli Stati generali Paolo Natale scrive: «Forse l’anno peggiore per il Pd, dalla sua nascita quindici anni orsono ad oggi. Aveva iniziato, se non con il vento in poppa, certamente come la forza politica che più nutriva rosee aspettative per il 2022: reduce dalla precedente buona esperienza di governo con i pentastellati, in procinto di formare con loro un’alleanza stabile per contrastare con qualche speranza di successo la coalizione di destra (il cosiddetto campo largo), fin dai primi mesi dell’anno la situazione si capovolge lentamente ma in maniera irreversibile. Le fasi della inarrestabile caduta sono note: il pasticcio della Presidenza della Repubblica, il progressivo e crescente malessere nei confronti del M5s, la fine del governo Draghi, le mancate alleanze elettorali, il risultato non certo positivo del voto di settembre, il ritiro di Letta, la decisa confusione in cui versa il partito, in attesa delle “solite” primarie, il sorpasso virtuale dei 5 stelle. Oggi nessuno sa cosa sia il Partito democratico».

Sono tempi difficili per la sinistra, due partiti che hanno pesato sulla scena politica europea come il Pasok e il Psf sono ai minimi termini. Però una cosa è essere sconfitti da un giovane sveglio come Alexis Tsipras e dalle manovre della grande opportunista Angela Merkel, una cosa è soccombere a un vispo figlio dell’establishment come Emmanuel Macron e a un solido uomo di estrema sinistra come Jean-Luc Melanchon, un altro essere sbaragliati da due personaggi molto improvvisati come Carlo Calenda e Giuseppe Conte (anche se, peraltro, i loro consiglieri, Matteo Renzi e Massimo D’Alema, sono politici di qualità).

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Su Dagospia da un articolo su Repubblica di Claudio Tito: «L’Unione europea impara dagli errori che ha commesso? L’interrogativo appare in questi giorni più che legittimo. E si concentra su un’emergenza che rischia di ripresentarsi: la pandemia Covid. Quasi tre anni fa i 27 si rivelarono impreparati e incerti su come affrontare l’ondata di contagi che veniva dalla Cina. Una indecisione che costò parecchio in termini di vite umane – in primo luogo – e anche di risorse economiche. In un primo momento l’Unione decise di non decidere. Sottovalutando quel che stava accadendo».

Se il quotidiano di via Cristoforo Colombo trattasse con lo stesso stile analitico e ragionevole i fatti della politica italiana e non solo di quella tedesca, forse tornerebbe a essere leggibile.

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Su Huffington Post Italia dal discorso su fede e ragione pronunciato da Benedetto XVI il 12 settembre 2006 a Ratisbona, nell’aula magna dell’Università, incontrando la comunità accademica in occasione del suo viaggio da pontefice in Baviera: «Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. “Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio”, ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all’interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell’università».

La citazione finale dello storico discorso di Papa Ratzinger a Ratisbona aiuta a capire – come ha già scritto Emanuele Boffi – perché anche un filosofo non credente come Jürgen Habermas sia entrato in sintonia con Benedetto XVI nel temere un mondo sempre meno umano, sempre più post-umano e trans-umano.

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