Paritarie, viva Bologna. Ma ci vorrebbe il buono scuola

Foto di Taylor Wilcox per Unsplash

Caro direttore, ho letto con molto interesse il tuo articolo sul contributo dato dal Comune di Bologna alle scuole paritarie dell’infanzia della città, comprese le osservazioni del consigliere comunale Stanzani di Forza Italia. Come al solito, la delibera, assunta dal Consiglio comunale anche con il voto favorevole dell’opposizione del centro-destra, ha suscitato la reazione rabbiosa e ideologica dei trinariciuti dell’estrema sinistra, che hanno usato gli stessi eterni slogan di questi ultimi 70 anni: il famigerato “senza oneri per lo Stato” ex articolo 33 della Costituzione (peraltro interpretato in modo sbagliato), l’accusa che si finanziano le scuole “dei ricchi” (anche se le scuole paritarie dell’infanzia sono frequentate per lo più dal “popolo” vero), eccetera.

Naturalmente, non possiamo che essere felici che anche il Comune di Bologna sostenga economicamente le scuole paritarie, cosa a cui è stato costretto dal fatto che, altrimenti, molti bambini sarebbero rimasti a casa. Contenti, perché non possiamo che accogliere con favore ogni misura che vada nella direzione di tutelare la benedetta libertà di educazione, cosa che avviene in molti Paesi del mondo, mentre non riesce a decollare nella “cattolica” Italia. Quindi siamo contenti.

Ma ciò non toglie che anche questo episodio (parzialmente positivo) ci debba far riflettere sulle ragioni per le quali in Italia la libertà di educazione, invocata anche da Antonio Gramsci (clamorosa la tua citazione!), non riesce ad affermarsi con un sereno dibattito anche giuridico, che riesca a superare l’odio dei laicisti verso tutte le opere “dei preti”.

Ma, allora, bisogna capovolgere l’approccio con cui si affronta il problema. Da sempre l’articolo della Costituzione a cui si fa riferimento, come già accennato, è l’articolo 33 della Costituzione, con tutte le conseguenze del caso. Nulla di più sbagliato. Chi propugna la libertà di educazione deve partire, invece, dall’articolo 30 della stessa Costituzione, il quale afferma che il DIRITTO all’istruzione ed all’educazione dei figli spetta ai genitori, cioè alla famiglia. E tale diritto spetta SOLO alla famiglia. La nostra Costituzione non prevede che lo Stato abbia il diritto ad educare. Solo i regimi totalitari lo prevedono. Tale diritto è riconosciuto SOLO in capo ai genitori.

Siccome tutto ciò è vero, perché scritto sulla nostra Carta, dovremmo trarne le debite conclusioni. Sarebbe ora di capire che il problema non è quello di finanziare direttamente le scuole, ma quello di finanziare i genitori affinché possano svolgere liberamente il loro compito educativo, come, del resto, è previsto dall’articolo 31 della stessa Costituzione. Allora, i finanziamenti dovrebbero essere dati direttamente alla famiglia per abbattere le rette che, invece, sarebbero (e sono) costrette a pagare e non perché sono necessariamente “ricchi”, ma perché tengono all’educazione dei propri figli. I partiti del centro destra, che si dicono liberali e popolari, dovrebbero per primi dare questo giudizio e trarne le conseguenze amministrative e politiche. Tra l’altro, il riferimento agli articoli 30 e 31 invece che all’articolo 33 farebbe cadere tutte le obbiezioni ideologiche che arrivano dal mondo laicista (e marxista) quando si affronta questo problema, perché si tratterebbe di sostenere le famiglie e non le “scuole dei preti”. Sinceramente non capisco perché si faccia così fatica ad intraprendere questa strada, che, probabilmente, anche Antonio Gramsci avrebbe percorso.

Ripeto: benedetta sia la delibera del Consiglio comunale di Bologna. Ma, a partire dal prossimo anno, è possibile sperare che venga percorsa l’altra strada? Finora ci è riuscita solo la Regione Lombardia di Formigoni con il “buono scuola”. Questa strada non può diventare un riferimento di tutte le istituzioni italiane, comprese quelle statali? I Comuni e le Regioni potrebbero e dovrebbero dare il buon esempio, in forza della propria autonomia e del desiderio di porre finalmente la famiglia al centro di ogni politica sociale ed scolastica.

Peppino Zola

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