Oggi senti parlare Renzi e ti pare di leggere un editoriale di Curzio Maltese

Il giamburrasca del Pd, che piaceva anche a chi non ha mai votato a sinistra, ha finito per sposare la linea di Repubblica. Ma gli conviene?

Che fine ha fatto Matteo Renzi? Da qualche tempo, sembra farsi dettare la linea da Repubblica, il quotidiano più influente del mondo progressista italiano. E questo è un vero peccato, soprattutto per Renzi. Il sindaco di Firenze, che ha costruito la sua fortuna politica, oltre che su uno slogan efficace (rottamiamoli!), anche sull’abilità nel non conformarsi ai refrain progressisti antiberlusconiani («Berlusconi va battuto nelle urne, non nei tribunali», diceva), oggi sembra essersi appiattito sulla linea del quotidiano di Ezio Mauro. Che è, in breve, una sola da vent’anni a questa parte: dagli al Silvio.

Beninteso, è tutto legittimo, ma ha ragione Emma Bonino a dire che «se questo è il nuovo, ridateci il vecchio». Renzi piaceva – anche nel centrodestra – proprio per la capacità di scompaginare l’equilibrio del risaputo. Andava ad Arcore a parlare con l’allora presidente del Consiglio, discuteva di “merito” (una parola non del tutto digerita a sinistra), sbuffava contro l’apparato diessino, la faceva simpaticamente (e con calcolo) fuori dal vaso, non rincorreva l’antipolitica di Grillo, anzi diceva che «ci vuole più politica», puntava a parlare anche ai “berlusconiani” (sono voti anche quelli).
Insomma: si distingueva dalla massa. E il fatto di essere un corpo estraneo a certe ninna nanne progressiste – anche se con qualche cedevolezza da boy scout green – lo rendevano il vero antagonista di Silvio Berlusconi. Infatti, solo un partito che ama trattare i propri zebedei come Tafazzi poteva scegliersi alle ultime politiche un leader Bersani, anziché uno come Renzi. Non è un caso che Berlusconi decise di correre quando fu certo che avrebbe sfidato il primo, e non il secondo.

Oggi senti parlare Renzi e ti pare di leggere un editoriale di Curzio Maltese. La sua violenta posizione sull’amnistia, ad esempio, risente del tic tipico degli antiberluscones. D’accordo che deve trovare il modo di differenziarsi dal dialogante Enrico Letta, ma, sdraiandosi sulla linea editoriale di Mauro – fino a poco fa a lui ostile -, rischia di perdere quel po’ di interesse che era riuscito a far emergere anche in elettori non di sinistra. Come scrive giustamente oggi il Foglio, sarebbe un peccato se il sindaco di Firenze, per emanciparsi dal presidente della Repubblica, finisse per accovacciarsi sotto le ali della «Repubblica delle idee».

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