Ocasio-Cortez, non piangere. È giusto aiutare Israele a difendersi

La deputata democratica contro il finanziamento del sistema di difesa antimissilistico israeliano. Breve ripasso a lei e ai progressisti sulla sua importanza per garantire meno conflitti

Alexandria Ocasio-Cortez in lacrime dopo il voto su Iron Dome

La scorsa settimana la Camera dei rappresentanti americana doveva approvare un pacchetto di misure del governo Biden tra le quali c’era anche un nuovo finanziamento per il sistema antimissilistico israeliano Iron Dome. La pattuglia di deputati più radicali del Partito democratico, capeggiata da Alexandria Ocasio-Cortez e detta The Squad, ha prima ottenuto lo scorporo del finanziamento dal pacchetto, e poi – quando i Dem si sono resi conto che rimandare la questione di mesi avrebbe comportato una serie di problemi inaffrontabili – si è spaccata sul voto effettivamente avvenuto giovedì.

Le lacrime di Ocasio-Cortez

C’è chi ha votato contro, chi a favore, e poi c’è Aoc che ha votato “present”, che non è un no ma nemmeno un sì, e poi ha pianto tra le braccia di una collega. Il finanziamento (un miliardo di dollari) è passato con una maggioranza schiacciante, ma il Partito democratico ha dimostrato una volta di più le sue divisioni interne riguardo Israele. Insultata sui social dai filo israeliani e dai filo palestinesi per la sua ipocrisia, la Ocasio-Cortez si è pubblicamente scusata per non avere avuto il coraggio di votare no.

Come ha spiegato Daniele Raineri sul Foglio, «Ocasio-Cortez potrebbe avere calcolato che votare no avrebbe danneggiato le sue ambizioni politiche sul lungo termine. Chi è a favore del finanziamento sostiene che gli Stati Uniti spendono molto denaro in aiuti militari internazionali e quello per Iron Dome è speso meglio di altro», mentre «chi non è a favore del finanziamento sostiene che Israele dovrebbe pagarsi Iron Dome con i suoi soldi».

Giova però ricordare alla Squad e alla AOC in lacrime per il destino dei palestinesi, che Iron Dome è un sistema soltanto difensivo. Come hanno spiegato su Newsweek August Pfluger e Michael Makovsky, rispettivamente membro del Congresso ed ex ufficiale del Pentagono, Iron Dome è «un sistema di difesa missilistico sviluppato in collaborazione con gli Stati Uniti in grado di intercettare il 90% dei razzi lanciati contro le aree popolate di Israele. È essenziale per limitare i conflitti e proteggere allo stesso modo i civili israeliani e palestinesi».

Iron Dome protegge anche i palestinesi

Il conflitto dello scorso maggio con Hamas ha ridotto le scorte israeliane dei costosi intercettori Tamir utilizzati dal sistema Iron Dome: in 11 giorni Hamas ha lanciato 4.455 razzi verso Gerusalemme, Tel-Aviv e altri centri abitati israeliani. Per proteggere i suoi cittadini, Israele ha abbattuto 1.577 di questi razzi, e nonostante questo dieci israeliani sono stati uccisi. Ora, ricorda ancora l’articolo di Newsweek, Israele deve guardarsi non solo da Hamas a sud, ma anche da Hezbollah, in Libano, a nord, senza contare i missili iraniani lanciati negli ultimi tempi dalla Siria.

Non è difficile capire che Iron Dome serve anche a proteggere i civili palestinesi. Senza questo sistema di difesa, Hamas sarebbe incoraggiato ad attaccare. «E se Hamas dovesse lanciare una raffica di razzi che uccidesse molti civili israeliani, Israele sarebbe probabilmente costretto a lanciare un’invasione di terra e conquistare tutta Gaza, provocando molte vittime palestinesi (e israeliane). Invece, grazie all’Iron Dome e alla sua efficacia, Israele ha evitato una campagna di terra ed è riuscito a prendere precauzioni senza precedenti nel ridurre al minimo le vittime civili mentre si vendicava contro le forze di Hamas che si nascondevano dietro ai palestinesi innocenti».

Un’America divisa piace ai suoi nemici

Lo stesso presidente Biden ha approvato il rifinanziamento di Iron Dome, così come prima di lui aveva fatto Obama. Ecco perché giova ricordare ai deputati progressisti del Partito democratico che fanno i paladini dei diritti dei palestinesi che questo sistema è innanzitutto una garanzia per gli abitanti di Gaza, ma che il suo mancato finanziamento sarebbe stato un altro segnale ai nemici degli Stati Uniti del ritiro dell’America dallo scacchiere internazionale. L’ennesimo, dopo il fallimentare ritiro dall’Afghanistan e la cattiva gestione della vicenda dei sottomarini venduti all’australia.

«Uno scontro su Iron Dome segnalerebbe che gli impegni dell’America nei confronti dei suoi alleati sono soggetti a capricci politici», scrivono ancora Pfluger e Makovsky, «e indebolirebbe i nostri alleati incoraggiando i nostri avversari, creando così un mondo più pericoloso». Non sarà questo finanziamento a ridare all’America la credibilità internazionale persa negli ultimi tempi, ma almeno sul sostegno a Israele è bene non dare l’idea che anche una piccola minoranza all’interno di un partito possa trasformare una storica alleanza in un problema politico interno.

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