Non parlarmi di quel papa santo, mi fa dubitare dei nostri successi

Caro nipote, leggi questa mail che ho intercettato: «Giovanni Paolo II non ha abbattuto i regimi comunisti. Con la sua parola e la sua azione ha cambiato il cuore di molti uomini, e quindi la storia»

Articolo tratto dal numero di novembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Mio caro Malacoda, oggi, 22 ottobre 2020, ti scrivo mentre i seguaci del Nemico commemorano san Giovanni Paolo II. Il 22 ottobre 1978 quest’uomo, appena diventato Papa, osò l’inosabile, urlò in mondovisione: «Non abbiate paura!». Quarantadue anni dopo sembra un grido dimenticato.

Non è solo il Covid che attanaglia nella paura, tutto ne è diventato occasione: il profugo, la povertà, la bravura del collega di lavoro, il clima, la propria fragilità, l’avversario politico, la Cina, i terroristi, l’Europa austera, l’hacker che ruba dati. Fa paura anche chi dovrebbe, in quanto amministratore della giustizia, proteggerci e tranquillizzarci. Fa paura l’altro in genere, e a volte anche noi stessi. E ci paralizziamo. Nessuno crede più che il mondo possa cambiare.

Nessuno? Leggiti questa mail che ho intercettato. Un giornalista chiede a un collega: secondo te che cosa ha voluto dire per la Chiesa Giovanni Paolo II?

Risposta:

«Quando è morto, il 2 aprile 2005, ero in piazza San Pietro, alle nove e mezza di sera, si è spenta la luce della sua finestra. Anche il giorno prima ero lì. Vicino a me c’era una donna indiana, induista, in piedi con gli occhi fissi a quella finestra accesa. Le ho chiesto: “Ma tu sai chi è?”, lei ha risposto: “Lui piace a Dio”.

Giovanni Paolo II è stato per la Chiesa, penso, esattamente la stessa cosa che è stata per me: un uomo scelto da Dio – a cui piaceva quel polacco forte e intelligente – per ridirci chi siamo, chi sono io e che cosa è la Chiesa. “L’uomo è la via della Chiesa”, mi ripeto spesso queste parole della sua prima enciclica. Le ho capite esistenzialmente, in modo personalissimo, quando, il giorno dopo il suo pellegrinaggio a Torino il 13 aprile 1980, mi sono dichiarato alla mia futura moglie. L’incontro con lui, l’avevo seguito da vicino in tutti gli eventi torinesi come aiutante dell’inviato del Corriere della Sera, mi aveva chiarito la mia vocazione. Così come, in quanti me l’hanno detto, molti giovani hanno deciso di farsi sacerdoti durante le sue Giornate mondiali della gioventù. A Torino, una città colpita dalla violenza del terrorismo, di fronte a chi si lamentava che non era più la città dei grandi santi sociali dell’Ottocento, che ci voleva altro, aveva detto, o meglio, gridato: “Ma Cristo c’è, e basta in ogni tempo!”.

In ringraziamento per la sua visita a Torino andammo in pellegrinaggio a Roma e ci ricevette nell’aula Paolo VI. Con un gruppo di universitari pensammo a cosa regalargli di utile e decidemmo per un ciclostile, il più moderno che allora ci fosse in commercio, da mandare in Polonia a Solidarnosc. Ho la foto del momento in cui glielo diamo e io cerco di spiegargli che cos’è, lui ha una faccia perplessa, mi mette una mano sul braccio, mi ascolta, ma non sembra capire che cosa sia quel regalo voluminoso. Due addetti vaticani lo portano sul palco e lo posano sul tavolo che era di fianco alla sua sedia. Quando, alla fine dell’udienza, il Papa passa davanti al tavolo, si ferma, posa le mani sul ciclostile, poi si volta verso di noi e le alza congiungendole sopra la testa in segno di vittoria. Aveva capito e ci ringraziava.

Quel ciclostile è stata una goccia negli aiuti a Solidarnosc, ma ha cambiato me ed è servito a cambiare la storia. Un’altra frase che mi ripeto spesso di Giovanni Paolo II è quella detta a commento della vita e dell’opera di san Benedetto: “Era necessario che l’eroico diventasse quotidiano e che il quotidiano diventasse eroico”. La grandezza che ci ha testimoniato e trasmesso era questo legame indissolubile tra l’io e la società, tra l’io e la storia. Giovanni Paolo II non ha abbattuto i regimi comunisti, come si suole dire, Giovanni Paolo II con la sua parola, la sua azione, la sua testimonianza ha cambiato il cuore di molti uomini, e quindi la storia. Come disse Václav Havel – uno che il mondo l’ha cambiato davvero – che non era cristiano ma gli era amico: “Ho vissuto ogni colloquio con il Papa, qualsiasi fosse il tema trattato, interiormente come una confessione. E sempre, dopo questa ‘confessione’ e dopo un’indiretta assoluzione, mi sono sentito rinascere”».

Caro nipote, noi continuiamo a far litigare nella Chiesa tradizionalisti e progressisti, ma la tradizione non è una dottrina e meno che mai un rito, e il progresso non è una fuga in avanti.

La tradizione è questa catena ininterrotta di esperienze di cambiamento che fa progredire gli uomini (e cambiare il mondo) perché li lega alla loro origine. Nonostante i nostri indiscutibili successi ogni tanto mi viene lo scoramento: non praevalebunt!

Tuo affezionatissimo zio
Berlicche

Foto Ansa

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