Nessun paradosso nel cattolico Letta che sogna la cannabis e il matrimonio gay

Il segretario del Pd sposa riforme che rappresentano il ribaltamento dell’antropologia cristiana. Un altro atto del dramma che i cattolici vivono dai giorni del Concilio Vaticano II e del Sessantotto

Ad annunciare che matrimonio omosessuale e cannabis libera sono punti qualificanti del programma del partito che attraverso varie incarnazioni più a lungo ha governato negli anni della Seconda Repubblica (6.323 giorni su 10.324, cioè il 61,2 per cento di tutto il tempo, secondo i calcoli di Renzo Puccetti), è stato un leader politico proveniente dalle file degli studenti di Azione Cattolica.

I desiderata del cattolico Letta

Per alcuni questo è un vero scandalo, per altri una curiosità trascurabile. La verità è un po’ più profonda: che il cattolico Enrico Letta segretario del Partito Democratico abbia proclamato come obiettivi particolarmente desiderabili per la società italiana due riforme che rappresentano il ribaltamento dell’antropologia cristiana (oltre che di quasi tutte le antropologie tradizionali, comprese quelle di tutte le più grandi religioni) non è un curioso paradosso, ma un altro atto del dramma che il mondo cattolico, italiano e non solo, vive dai giorni del Concilio Vaticano II e del Sessantotto.

Il Concilio ha rappresentato simbolicamente una svolta nell’atteggiamento della Chiesa nei confronti del mondo moderno: non più una condanna globale a partire dalla critica teologica dei suoi presupposti, ma un’apertura di impronta pastorale tesa a valorizzare ogni terreno comune d’intesa che si potesse individuare, in vista di una reciproca purificazione. La Chiesa ha accettato l’impostazione moderna di mettere al centro della riflessione l’uomo, ovvero il soggetto, certa di poter mostrare che l’uomo che prende in considerazione seriamente il suo io scopre che esso esiste solo in relazione a un Tu e a un noi (sociale ed ecclesiale, quindi sacramentale).

La vita della Chiesa nella realtà storica

Su questo don Luigi Giussani aveva anticipato i tempi, il suo movimento ecclesiale (allora Gioventù Studentesca) rappresentava una possibile soluzione della questione che il Concilio Vaticano II avrebbe tematizzato. Ma la vicenda del mondo cattolico post-conciliare, com’è noto, non si esaurisce nella fioritura di Gioventù Studentesca/Comunione e Liberazione e degli altri movimenti ecclesiali. Per molti cattolici l’impegno post-conciliare non è consistito in una valorizzazione critica della modernità, ma piuttosto in un cedimento alle sue sirene, che a quel tempo consistevano nell’illusione che il Regno di Dio potesse essere costruito dall’uomo stesso e in questo mondo.

E non si è trattato di una vicenda puramente intraecclesiale, ma di sommovimenti tettonici che hanno investito l’intera società italiana, perché, come dice don Massimo Camisasca nell’intervista che appare in questo mese su Tempi, «L’Italia è un paese di lunga tradizione cristiana. Ciò che accade nella Chiesa prima o poi influisce fortemente sulla vita sociale e viceversa, perché la Chiesa vive dentro la realtà storica che vivono tutti».

Terroristi rossi e ferventi cattolici

Il terrorismo delle Brigate Rosse non si spiega senza la crisi di fede e i tormenti di coscienza di un’intera generazione di giovani cattolici, sedotti infine dall’idea che l’ingiustizia andava combattuta armi alla mano e la società perfetta non poteva attendere i tempi escatologici. Nel fenomeno del terrorismo rosso in Italia c’è certamente una componente comunista che si ricollega alle esperienze dei partigiani delle Brigate Garibaldi nei due anni della guerra civile in Italia 1943-45 e in quelli immediatamente successivi, ma c’è una componente altrettanto importante che si collega al neo-moralismo cattolico, transitato dai temi sessuali a quelli sociali: Renato Curcio e Mara Cagol erano ferventi cattolici, così come molti altri esponenti dei gruppuscoli extraparlamentari di sinistra che si proponevano percorsi rivoluzionari.

Come scriveva l’allora card. Joseph Ratzinger nel 1991:

«Il processo di formazione del terrorismo italiano dei primi anni ‘70 rimane incomprensibile se si prescinde dalle crisi e dai fermenti interni al cattolicesimo postconciliare. Anche se la fede nell’aldilà era venuta meno o comunque diventata irrilevante, l’unità di misura dell’attesa ultraterrena non venne abbandonata, bensì posta ora in relazione al mondo presente».

Matrimonio gay e cannabis

Quei tempi sono conclusi, e oggi le speranze degli uomini che non hanno più la Speranza non si concentrano sulla politica, ma sulla tecnologia. Nessuno crede più nella società perfetta perché è venuta meno la fede secolare (dopo quella religiosa) nel senso della storia; moltissimi attendono dalla tecnologia la possibilità di realizzare i personali desideri di onnipotenza, da conciliare per quanto possibile con quelli altrui. In questa ottica l’istituzione del matrimonio omosessuale rappresenta l’istanza più esemplare dell’uomo che si sostituisce impazientemente a Dio, che denuncia l’imperfezione del progetto divino e vi pone riparo; rappresenta l’antiCreazione per eccellenza: la natura, la corporeità, i sessi non comunicano più un senso di cui l’essere umano deve prendersi cura; li può riscrivere, rimaneggiare, ricreare in base a umani ideali di uguaglianza, varietà, creatività, edonismo, ecc. Ma di questo abbiamo già scritto tante volte.

Più intrigante è cercare di capire perché al giorno d’oggi i cosiddetti progressisti (termine anacronistico in epoca di nichilismo, ma si sa che i cattolici che si piccano di essere “conciliari” e che votano a sinistra sono sempre in ritardo sui tempi) attribuiscano tanta importanza alla legalizzazione della cannabis. Certo, sono consapevoli che si tratta della sostanza psicotropa proibita più consumata nel mondo, perciò la cinica ricerca di bacini elettorali certamente li muove. Ma non si tratta solo di ciò. Anche in questo caso ci viene in soccorso il card. Ratzinger, che nel lontano 1987 scriveva:

«Il “grande viaggio”, che gli uomini ricercano nella droga, è la forma pervertita della mistica, il pervertimento dell’aspirazione umana all’infinito, il rifiuto dell’insuperabilità dell’immanenza e il tentativo di oltrepassare le barriere della propria esistenza in direzione dell’infinito. L’umile e paziente avventura dell’ascesi, che a piccoli passi verso l’alto s’avvicina al Dio che si china verso di noi, viene sostituita dal potere magico, dalla magia rivelatrice della droga; l’itinerario morale e religioso dall’applicazione della tecnica. La droga è la pseudo-mistica di un mondo che non crede, ma che tuttavia non può scuotersi di dosso la tensione dell’anima verso il paradiso».

L’epoca della disillusione

La post-modernità è l’epoca della disillusione: disillusione rispetto alle ambizioni della modernità, disillusione rispetto alle promesse della Fede. In qualche modo occorre colmare il vuoto del cuore inquieto dell’uomo, che non può rinunciare ad aspirare alla felicità. La cannabis legale, insieme ai prodotti dell’industria dell’intrattenimento, è la risposta che una classe politica profondamente immorale dà agli esseri umani assetati di senso.

Per tenerli buoni, per farli regredire a una condizione infantile nella quale mamma Stato e papà Mercato si occupano in tutto e per tutto di loro. In attesa che tirino le cuoia.

Foto Ansa

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