Natalità: una questione politica e di speranza

Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ride con Papa Francesco sul palco degli Stati Generali della natalità a Roma (foto Ansa)

12 maggio 2023 si è svolta la III edizione degli Stati Generali della Natalità, all’Auditorium della Conciliazione, a due passi dal Vaticano. Vi hanno partecipato politici e nella terza giornata il presidente Giorgia Meloni ha “dialogato” direttamente con papa Francesco. Il santo Padre ha fatto un discorso tutt’altro che retorico, sottolineando una parola su tutte: “speranza”. Specificando che essa «non è, come spesso si pensa, ottimismo, non è un vago sentimento positivo sull’avvenire. […] Non è un’illusione o un’emozione che tu senti, no; è una virtù concreta, un atteggiamento di vita. […] Alimentare la speranza è dunque un’azione sociale, intellettuale, artistica, politica nel senso più alto della parola; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è seminare futuro. La speranza genera cambiamento e migliora l’avvenire. È la più piccola delle virtù – diceva Péguy – è la più piccola, ma è quella che ti porta più avanti! E la speranza non delude. Oggi ci sono tante Turandot nella vita che dicono: “La speranza che sempre delude”. La Bibbia ci dice: “La speranza non delude” (cfr Rm 5,5)».

Tutto questo è avvenuto a pochi giorni dalla proposta del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti relativa all’esenzione fiscale per i nuclei familiari con almeno due figli, e ancor meglio nello specifico, l’idea di inserire una detrazione Irpef progressiva per ogni figlio nascente all’interno del nucleo familiare.

Natalità e equità fiscale

Il tema trattato può essere compreso solo se si tengono in mente due fattori: l’andamento della natalità e l’equità fiscale che sta alla base della ricchezza delle famiglie. Sono due snodi fondamentali che vanno però considerati distintamente. Proporre l’equivalenza tra l’andamento della natalità e quella del reddito è fuorviante, non appropriato e addirittura mistificatorio. L’esperienza, o ancora meglio la storia, ci narrano una parabola differente. Limitandoci ai dati italiani, ne abbiamo la riprova. Negli anni ’60, quando nasceva circa un milione di bambini all’anno (il baby-boom), il reddito pro-capite, in termini attuali reali e comparabili, è passato da 9 mila euro del 1966 a 14 mila euro nel 1970. Nell’ultimo decennio, che potremmo descrivere come l’inverno demografico con poco meno di 400 mila bambini nati all’anno, il reddito pro-capite è oscillato attorno ai 30 mila euro all’anno.

Questo ci dimostra una distonia tra il dato prettamente economico e l’aumento della natalità. Lo stesso refrain relativo al “modello Orban” che avrebbe garantito in Ungheria l’incremento del tasso demografico più avanzato d’Europa è sostanzialmente falso. Secondo i dati Eurostat più aggiornati, tra il 2019 e il 2021 la popolazione ungherese ha continuato a calare, mentre in molti Paesi dell’Unione europea è cresciuta. Il tasso crudo di natalità in Ungheria è il dodicesimo più alto dell’Ue, mentre il tasso di fecondità totale è settimo. Per essere onesti, nella prima presidenza di Orban (1998-2002) quel modello ha invertito una tendenza, ma non ha retto nel tempo, perché il solo “aiuto” economico non è in grado di sostenere una decisione che attiene innanzitutto al campo dell’umano. La nascita di un figlio non è monetizzabile, perché va oltre la ratio economica, seppur non possa non tenerla presente.

Più elementi

Non si vuole qui sostenere che la ricchezza di una famiglia non abbia incidenza sulla decisione di mettere al mondo un figlio, al contrario è un elemento certamente importante, ma esso non è l’unico elemento, né quello più determinante. Rimanendo ancora nel campo della politica, è evidente che esiste un “secondo tempo” relativo a tutti quei servizi e a quelle condizioni che rendono più favorevole conciliare i tempi di vita con quelli di lavoro.

Penso innanzitutto a quella rete di servizi che vanno dagli asili nido, alle Tagesmutter, dagli orari flessibili, ai congedi parentali, pensati con un’adeguata durata e con una remunerazione che non si fermi al 30% degli stipendi come la norma attuale prevede. Sarebbe miope non considerare il contesto in cui siamo inseriti, in un tempo in cui la competizione del mercato del lavoro ha allungato i tempi di formazione, l’ingresso stesso nei mondi professionali e salari bassi e spesso precari.

Politica e speranza

Dunque, qual è il compito della politica? Rimuovere tutti gli ostacoli, non pensare che basti solo una buona legge sulla fiscalità famigliare per invertire una tendenza così drammatica, ma iniziare seriamente a mettere mano a tutti quegli impedimenti che rendono difficoltosa l’incremento della natalità. La politica può creare delle premesse, ma non dimentichiamoci che mettere al mondo un figlio è una decisione strettamente legata alla speranza nel futuro, come ha sottolineato papa Francesco, che attiene quelle ragioni che conferiscono senso all’esistenza. Un figlio è un atto d’amore, è una scommessa sul domani, è il mondo che rinasce, che cambia volto e che si rinnova. Trascende e monda la dimensione economica. È la scelta di rompere la sequela del proprio narcisismo per lasciare spazio alla pluralità e all’esperienza dell’altro. La nascita di un figlio è la parola di Dio che riannuncia, da capo, sempre da capo, che non si è stancato degli uomini.

È questa virtù della speranza, quella che Péguy diceva essere la più stupefacente, che bisogna tornare a seminare, con un lavoro educativo che non è meno importante del sostegno concreto assicurato da migliori politiche familiari.

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