Mosab, il “figlio di Hamas” convertito al cristianesimo: «Il nemico non è in Occidente, ma in casa mia»

Esce in Italia il film sulla vita di un ragazzo cresciuto nell'ideologia islamista e approdato ai servizi segreti israeliani fino alla conversione

«Sono cresciuto credendo nella teoria del complotto secondo cui gli Stati Uniti d’America e l’Occidente, tra cui Israele, tramano giorno e notte per distruggere l’islam e il mondo musulmano. È così che le organizzazioni terroristiche spingono le persone comuni a combattere a loro nome contro gli Stati Uniti e Israele». Mosab Hassan Yousef lunedì scorso ha raccontato la sua storia al programma radiofonico The Glenn Beck, proprio mentre il film sulla sua vita è in uscita il 23 aprile nelle sale cinematografiche italiane. Il titolo della pellicola, Il figlio di Hamas, si ispira alla sua biografia, tradotta in italiano nel 2011, della quale riprende il nome. Dall’intifada ai servizi segreti israeliani.

«IL NEMICO ERA IN CASA MIA». Nato 37 anni fa, figlio di Sheikh Hassan Yousef, uno dei fondatori dell’organizzazione terroristica palestinese Hamas, Mosab crebbe convinto che pur di sconfiggere il nemico fosse «giusto istigare dozzine di kamikaze contro Israele». Ma più cresceva, più si accorgeva delle contraddizioni «dell’ideologia in cui ero nato». Ad esempio, ha spiegato nel 2012 a un convegno di battisti americani, «mi dicevano sin da piccolo che l’islam era la speranza per l’umanità e che dovevamo instaurare lo stato islamico in tutto il mondo», ma di fronte alle «violenze e alle torture [di Hamas] mi accorgevo che c’era qualcosa che non tornava. Così cominciai a studiare la storia e a fare domande».
Scoprì così che ciò in cui credeva suo padre era una menzogna: «Ero confuso, soffrivo e mi dicevo: “Perché tutto questo?”. Scoprii che il nemico non era il mio vero nemico. Il nemico era in casa mia. Avevo due possibilità: o fare finta di nulla oppure passare dall’altra parte». Perciò, «nel 1997 cominciai a lavorare per i servizi segreti israeliani».

LA CONVERSIONE. In quegli anni accadde un fatto che porterà Mosab a capire che neppure quella era la strada giusta: «Nel 1999 incontrai un missionario che mi diede la Bibbia, invitandomi a un corso di studi. I cristiani rimanevano sempre degli infedeli, perciò andai solo per sentire quale fosse la loro assurda teoria». Sulla Bibbia però c’era una frase che colpì il giovane: ama i tuoi nemici. «Fu come un’illuminazione in un momento in cui, abituato a ragionare in questi termini, mi chiedevo chi fossero davvero i miei nemici».
Più si inoltrava nel Vangelo, «più ero affascinato da Gesù come maestro, ma non potevo concepirlo come Dio. Ho speso sei anni a ristudiare l’islam, poi a studiare il cristianesimo e poi altre religioni (…). Insomma non è che Dio mi sia apparso in sogno e mi abbia cambiato la vita, può succedere, credo nei miracoli, ma il mio è stato un processo lento». Nel 2005 Mosab si battezzò in segreto a Tel Aviv (renderà pubblicata la sua conversione solo nel 2008), «ma in quei sei anni fu durissimo accettare la verità e capire che il nemico viveva fra coloro di cui un tempo mi fidavo, nella mia famiglia che amo ma che è nell’errore (…). Accettare questi sentimenti, che uccidono una parte di te, è un sacrificio per il bene, ma il prezzo che si paga è grande».

LA GUERRA NON BASTA. Nel 2007 Mosab ha lasciato i servizi segreti israeliani perché, se è vero che i palestinesi «sono molto bravi ma vengono ingannati dalla leadership», come spiegato alla Cbn nel 2013, «ho capito che [i servizi] erano il modo sbagliato di combattere i terroristi, perché sia che muoiano, sia che ti uccidano, vincono comunque loro». Bisogna «combattere l’ideologia islamista: se incontri i musulmani ti confondi, perché la maggioranza è moderata e non ucciderebbe mai nessuno. Però sono a loro volta vittime. È vero che solo una parte del Corano incita all’uccisione degli infedeli, ma basta poco veleno per contaminare il cibo, come sta accadendo ora». Sempre alla radio, infatti, il ragazzo ha chiarito che per via «dell’Isis e della sua diffusione, c’è chi se ne sta accorgendo».

CHI PORTA LA PACE. Dopo un lungo percorso, il figlio del fondatore di Hamas ha un’idea chiara di come si può combattere il jihadismo e tornare alla pace: «So che il mondo non lo vuole accettare, ma solo Gesù Cristo può farlo. Perché noi non costringiamo nessuno a credere in Gesù, ma offriamo un dono che ogni uomo può accettare, quello dell’amore e del perdono che, se venisse accettato da tutti, umilmente porterebbe la pace nel mondo».

@frigeriobenedet

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