Mio figlio Max come Eluana. La vita vera non è un film di Bellocchio

La madre di Max Tresoldi, miracolosamente risvegliato nel 2001 dopo dieci anni in stato vegetativo, elenca le falsità della pellicoloa Bella Addormentata di Marco Bellocchio: «Egoista e chi non accetta più i figli quando non sono perfetti»

«Mi sono sentita offesa quando ho letto che il regista Bellocchio ha descritto le madri delle persone in coma vegetativo come delle schizzate egoiste. Dite al regista che noi non abbiamo tanto tempo per pregare il rosario e strillare, perché la nostra preghiera è spaccarci la schiena in un lavoro silenzioso e incessante per curare con tutto l’amore possibile i nostri figli. Egoista e chi non accetta più i figli quando non sono perfetti». È senza mezzi termini che Ezia Tresoldi, mamma di Max Tresoldi, il giovane che nel 2001 si è miracolosamente svegliato dopo dieci anni in stato vegetativo. La signora accetta di parlare con tempi.it in merito al film Bella addormentata.

LA MEDICINA SONO GLI AMICI. La storia di Max, che nel 1991 entrò in coma e vi rimase nelle stesse condizioni in cui era Eluana Englaro, è quella di uomo e di una famiglia che per dieci anni hanno combattuto con i medici «che pensavano fosse solo un tronco sofferente». «Non lo curavano – racconta mamma Ezia – e ci spronavano a lasciar perdere. Altri, invece, hanno creduto in noi, insieme ad amici e volontari». Max non ricorda molto dei primi anni in stato vegetativo, «ma quando lo riportai, dopo nove anni, nell’ospedale del medico che lo considerava un vegetale si spaventò così tanto che si rannicchiò come un riccio. Era terrorizzato. Accadde l’anno prima che uscisse dallo stato vegetativo. Ora abbiamo la conferma di quello che già sapevamo: che non c’è mai stato un momento in cui lui volesse morire e che era felice per l’amore che aveva intorno a sé, anche quando era in quelle condizioni».
Da subito Ezia decise di lasciare la porta di casa aperta. «Altro che le medicine che lo intontivano. Dopo nove mesi che gliele somministravo, le buttai e iniziarono i primi progressi. Contro i medici staccai il sondino e, anche se ci mettevo tutto il giorno, lo imboccavo». In quella situazione, racconta la donna, fu fondamentale l’aiuto degli amici e il miracolo di Dio. «Per questo non capisco chi continua a parlare di inutili leggi sul testamento biologico. Si battano perché le famiglie abbiamo più aiuti, piuttosto».

IL DOLORE PER ELUANA. Come avete vissuto la morte di Eluana Englaro? «In quei giorni, quando sentivamo la voce di Beppino Englaro provenire dalla tv, Max si irrigidiva. Alzava la mano e, facendo il gesto dell pistola, la puntava verso il televisore. Ha sofferto molto per la ragazza. Perché lui sapeva cosa si prova e cosa avrebbe sofferto Eluana, privata dell’amore delle suore, morendo di fame e sete per volontà del padre. Max non ha mai desiderato di morire. Mai».
Dell’amore gratuito delle suore misericordine non si parla nel film. I cattolici, in generale, paiono dei pazzi agitati e la fede è descritta come un sentimento fragile, tanto che viene abbandonata da una ragazza pro life per l’attrazione fisica verso un non credente. «Ma cosa c’entra questo con la vicenda drammatica di Eluana? Io so solo che le donne con i figli in queste condizioni si sono prese la responsabilità di amare, come dovrebbe essere naturale per ogni madre. Solo che per loro è stata più dura. Il padre di Eluana non voleva che la nutrissero come ho fatto io con mio figlio. Senza sondino. E non voleva che la sua stanza fosse aperta a chi era disposto a farle compagnia». Lei è mai andata a Lecco in quei giorni? «Io no, ma un amico di Max e tanti giornalisti che poi sono venuti a trovarmi mi hanno detto che la ragazza non soffriva. Ricordo che la giornalista di Rai 3, Donatella Negri, andò a Lecco convinta di trovare Eluana in uno stato terribile. Venne poi qui e mi confessò di essersi vergognata: “Io dovevo depilarmi e lei aveva due gambe perfette. Chiesi alle suorine perché. Risposero che loro le facevano anche le sopracciglia e la manicure. La trattavano come una principessa”».

NON E’ UN FILM. Per quanto riguarda il modo in cui viene dipinta la fede nel film, Ezia non si stupisce, perché «è evidente che non sanno che è la cosa più concreta del mondo: senza la certezza dell’amore di Dio, senza la compagnia del Signore in carne e ossa che attraverso gli amici ci sosteneva e senza la certezza che se Lui voleva poteva fare un miracolo, non avrei avuto la forza di fare tanto e Max non sarebbe uscito dallo stato vegetativo facendosi, come prima cosa, il segno della croce». Poteva anche rimanere in quello stato. «Sì, e lo avrei amato lo stesso come ho fatto sin dal primo momento che l’ho concepito. I figli si amano anche quando non sono perfetti. Credo che l’egoismo non sia nostro, ma di chi, come Englaro, non ha accettato di amare la figlia così com’era. Pensiamo che malattia sia uguale a infelicità, ma non è così, noi siamo felici. Lo dicono le foto sulla bacheca di Facebook di mio figlio». Forse Englaro non sosteneva il dolore. «Allora perché non l’ha lasciata alle suore? Perché si batte per l’eutanasia e non per gli aiuti ai genitori?». Lei ha scritto un libro insieme a Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola. «Sono felice di averlo fatto. È un impegno in più ma è necessario perché la confusione è troppa. Si mischiano i sentimenti con la realtà. Ma quando finisco le testimonianza in giro per l’Italia e mi sento dire: “Ma noi avevamo capito tutto l’inverso. Non potevamo credere che un padre (che ricordo è uno su migliaia come noi) volesse la morte della figlia viva. Ora abbiamo capito!”, allora mi dico che anche questa nuova fatica ne vale la pena».

@frigeriobenedet

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