Migranti. Tra “solidaristi” ed “egoisti” cercansi maestri disperatamente

«L’impatto della realtà provoca in noi una reazione istintiva. Allora non guardiamo più alla realtà, ma all’emozione che essa ha prodotto in noi»

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Quest’anno le scuole hanno aperto nel pieno di due psicodrammi collettivi. Quello tutto italiano della riforma della “Buona Scuola”, che entra in vigore sotto una gragnuola di ricorsi da parte di sindacati e Regioni, e quello europeo rappresentato dall’ondata migratoria che sta investendo il continente e dalle reazioni che essa sta suscitando. Associare le due vicende non è indebito. Alla radice di entrambe c’è una “questione educazione” grandissima. Ci ha aiutato a capirlo un incontro sul tema svoltosi nel contesto della manifestazione “Eraclea Viva” dell’associazione Fra Terra e Cielo sabato scorso, quando è stata data la parola a due uomini liberi – Mario Dupuis, fondatore dell’iniziativa di accoglienza Casa Edimar a Padova, e don Antonio Villa, fondatore della scuola media Camillo di Gaspero a Tarcento, Friuli.

Ha detto Dupuis: «Il primo atto educativo non è insegnare a giudicare, ma aiutare una persona a usare la ragione anziché il preconcetto. Tendiamo a fermarci al preconcetto perché l’impatto della realtà provoca in noi una reazione istintiva. Allora non guardiamo più alla realtà, ma all’emozione che essa ha prodotto in noi. Trattiamo le cose sulla base della reazione emotiva che ci provocano, non per ciò che sono realmente». Parole che danno la misura precisa del deficit di educazione prevalente in Europa, e che il dramma dei profughi evidenzia. L’Europa può vantare altissimi tassi di alfabetizzazione e formazione superiore, compiacersi dei suoi Erasmus e della facilità di apprendimento dell’ultimo grido delle tecnologie da parte dei suoi abitanti, ma le reazioni emotive dominanti di fronte al dramma attuale (il solidarismo sentimentale che invoca un’irragionevole apertura senza limiti e l’egoismo impaurito di chi grida all’invasione e altrettanto irrealisticamente invoca la chiusura) rivelano un deficit di educazione che nessuna agenda di Lisbona saprà colmare. Perché non è questione di un metodo o di risorse, ma di maestri. E il maestro è uno che è mosso dall’amore all’altro perché scopra quello che ha dentro di sé: ogni educazione inizia da qui.

La sfida del sentimentalismo e della reattività la raccoglie solo un uomo che è impegnato con tutta la sua vita, non solo con alcuni aspetti: questo è l’educatore oggi. Come ha detto don Villa: «Educare è metterti davanti ai ragazzi così come sei, con la tua vita. È l’unica cosa che li sfida, perché assomiglia a quello che fanno tutto il giorno: guardare i video dei loro idoli. Giussani non persuadeva con le parole, ma con la sua vita: quello che lui era lo percepivano anche i sassi!». Questa impostazione sconfigge moralismi e farisaismi nell’educazione: «Mettermi davanti ai ragazzi così come sono vuol dire mettere davanti a loro me povero peccatore, che ha risvegliato la misericordia del Padre Eterno. Un Padre al quale piace perdonare». Il maestro si riconosce per il desiderio che chi gli sta davanti cresca, e per la disponibilità a farsi correggere, che nasce dalla coscienza di essere peccatore. Se non è così, non è un maestro.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa/Ap

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