I 100 giorni di Meloni e l’alternativa che non c’è alla scelta atlantista in Ucraina

Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (foto Ansa)

Su Dagospia si riprende l’Economist: «Alla fine dei primi 100 giorni, la coalizione di destra di Giorgia Meloni arriva in ottima forma. In vista di quel traguardo, il 31 gennaio, la Meloni ha avuto incontri conviviali sia con Ursula von der Leyen che con Papa Francesco. Due incontri che sono stati visti in Italia come l’approvazione da parte della Commissione europea, guidata dal von der Leyen, e del Vaticano, due istituzioni che i primi ministri italiani devono sempre tenere dalla loro parte. Poi, il 16 gennaio, è arrivato un regalo per un governo che vanta una linea dura su legge e ordine: i carabinieri in Sicilia ha catturato l’uomo più ricercato d’Italia, Matteo Messina Denaro, un boss mafioso che era sfuggito alla cattura per 30 anni».

Nell’articolo dell’Economist vi sono anche osservazioni insidiose sul governo italiano che testimoniano un certo posizionamento dei media controllati dagli ElkannAgnelli (chissà quanto pesa il legame degli eredi degli Agnelli più con la Francia che con l’Italia), ma “le osservazioni insidiose” sono fatte con anche realistici riconoscimenti e con uno stile ben diverso da quello, spesso quasi delirante nei confronti di Giorgia Meloni, di altre testate sempre della stessa proprietà

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Su Huffington Post Italia Claudio Paudice scrive: «Da un lato il Sud Europa che predica prudenza, dall’altro il Nord che predica aggressività. È scontro tra le due anime del Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea, per nulla inedito ma stavolta molto più divisivo, ciarliero e bellicoso del solito. Tanto da investire anche i piani alti dell’Eurotower, il Comitato Esecutivo, ovvero quella cerchia ristretta composta dalla presidente Christine Lagarde, dal vicepresidente e da altri quattro membri eletti».

Comunque la forte presa di posizione di Fabio Panetta nell’esecutivo della Bce che chiede senso di responsabilità a Christine Lagarde, dimostra quanto peso più rilevante abbia oggi l’Italia rispetto al 2011 con il governicchio allo sbando guidato da Mario Monti.

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Su Affari italiani Luca Palamara dice: «Sono parole nelle quali tutti debbono riconoscersi perché l’indipendenza della magistratura non deve mai essere messa in discussione. Bisogna uscire dalla spirale di contrapposizione e di conflittualità. Inutile negare che se il tema della giustizia è cosi avvertito nel nostro Paese è perché qualcosa non ha funzionato nei rapporti tra la magistratura e la politica ma anche all’Interno della stessa magistratura. E penso sia giusto analizzare fino in fono le problematiche e comprenderne il perché. Dopo 75 anni affrontare temi come la separazione delle carriere, il sorteggio per il Csm e l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale non mi sembra attentare alla indipendenza della magistratura. Anzi lo reputo un tentativo coraggioso per contribuire a dare al Paese una giustizia moderna, imparziale e funzionante così come chiedono tanti cittadini».

Alcune posizioni ragionevoli qui citate di Palamara sono accompagnate da un richiamo molto formale ai moniti di Sergio Mattarella. Richiamo che non sarà molto gradito, anche perché ricorda al presidente della Repubblica la propria mancanza d’iniziativa rispetto al clamoroso scandalo, che ha coinvolto il Consiglio superiore della magistratura, provocato dall’ex presidente della Anm.

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Su Startmag Marco Dell’Aguzzo scrive: «A “24 Mattino”, su Radio 24, Paolo Mieli – giornalista, storico ed ex direttore del Corriere della Sera – ha detto che “tra i parlamentari recalcitranti” all’invio di armi all’Ucraina c’è Paolo Ciani, segretario di Democrazia Solidale (DemoS) e deputato del gruppo di centro-sinistra Partito Democratico – Italia Democratica e Progressista. Laureato in storia dell’arte, Ciani è stato anche responsabile romano della Comunità di Sant’Egidio, un movimento di laici cattolici molto influente e vicino a papa Francesco».

Non mancano le critiche all’impegno italiano a sostegno di Kiev. Vi sono anche ragioni obiettive in certe prese di posizione: innanzi tutto la preoccupazione per una catastrofica terza guerra mondiale e anche quella minore (talvolta molto egoistica) per i sacrifici che aiutare l’Ucraina comporta. Vi sono poi i residuati di un antiamericanismo d’antan, vi è lo stile esibizionistico di far politica dei Salvini e dei Calenda, vi sono le scelte condizionate economicamente (gli affari con Mosca e soprattutto con Pechino). Importante è anche il filone di un ecumenismo cattolico male elaborato, come quello qui ricordato di Ciani, di un certo influente mondo cattolico convinto che con la Cina non solo si debba solo dialogare (il che è giusto) ma si possano anche fare solidi accordi: vi è in queste posizioni una mancanza di analisi sul carattere dello Stato poliziesco cinese e del condizionamento che questo determina sulla politica di egemonismo mercantilista di Pechino. Va considerato che nel loro insieme le posizioni critiche verso il governo italiano non hanno consistenza politica: non c’è una reale alternativa (quella che c’era quando esisteva un movimento comunista internazionale) alla scelta atlantista. Però tutte le varie critiche comunque argomentate possono contribuire a disgregare una democrazia italiana già provata (si pensi solo all’esistenza di un movimento così sconclusionato come i 5 stelle). Ecco perché è indispensabile un richiamo sia alla responsabilità nel prendere posizione sia a un’apertura al confronto con posizioni critiche ma realistiche: una buona discussione pubblica è il primo antitodoto alla disgregazione.

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