Meeting. «Oggi non si possono costruire ponti tra russi e ucraini»

È stato forse l'incontro più drammatico a Rimini quello tra la psicoterapeuta ucraina di Kharkiv, Davtjan, due importanti membri di Memorial e la poetessa russa Sedakova. La prima non ha lasciato spazio al dialogo, ma non ha chiuso la porta al «perdono»

«Non sono qui per costruire ponti. Oggi non è possibile, non è ancora tempo. Oggi l’Ucraina è crocifissa come Cristo. Non può esserci alcun “noi” con i russi». È drammatico l’intervento al Meeting di Natal’ja Davtjan, psicoterapeuta ucraina, rifugiata in Italia, direttrice del centro di sviluppo personale e di sostegno psicologico “Vita Nova” a Kharkiv. La donna è intervenuta all’incontro “Il filo della memoria e il fiore della speranza” insieme a tre donne russe ma non ha voglia di parlare né di memoria né tantomeno di speranza.

«Per me è difficile essere qui con donne russe»

«Per me è difficile essere qui su questo palco», esordisce. «Alcuni miei amici mi condannano perché ho deciso di parlare a fianco di persone russe. Per alcuni, e tra questi c’è anche mio figlio, è troppo presto per condividere un palco con dei russi. È come se così tradissi il dolore delle persone che soffrono da ormai sei mesi. La mia città, Kharkiv, è bombardata ininterrottamente da 183 giorni, ogni giorno le persone muoiono. Parlare della memoria di persone uccise in passato va bene, ma dovremmo concentrarci su come evitare che la gente muoia oggi nel mio paese».

Il riferimento della psicoterapeuta Davtjan è agli interventi al Meeting delle donne che l’hanno preceduta. Tra queste c’è Elena Zhemkova, direttore esecutivo di Memorial, il centro di ricerca fondato nel 1987 per preservare la memoria delle persone cadute vittime delle repressioni sovietiche e chiuso dalla Corte Suprema russa il 28 dicembre 2021. Zhemokova, ricordando anche la mostra “Uomini nonostante tutto” presentata al Meeting, ha parlato del lungo sforzo, che dura ormai da 35 anni, di dare un volto alle oltre 11 milioni di vittime delle purghe staliniane. «Nel nostro archivio ci sono solo tre milioni di persone. Abbiamo fatto tanto e allo stesso tempo molto poco», spiega.

Fare memoria del passato per costruire il futuro

«C’è chi pensa che non sia servito a nulla ciò che facciamo, perché le persone intorno a noi hanno ricominciato a uccidere, quindi ancora non si rendono conto del valore della vita umana», aggiunge riferendosi all’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio. «Io però non penso che sia così. C’è ancora bisogno di Memorial oggi in Russia perché c’è un forte legame tra la comprensione del passato e ciò che succede oggi».

Ne è convinta anche Irina Scerbakova, germanista e membro fondatore di Memorial, tra i più grandi studiosi di Vasilij Grossman: «Durante la perestrojka sembrava che le persone avessero capito che non ci si può muovere verso il futuro senza conoscere il passato. Ma se oggi ci troviamo in questo momento tragico, se oggi la ricerca della verità si è interrotta, è perché la nostra voce è stata troppo debole, perché abbiamo pensato che lo stalinismo fosse morto e che gli errori del passato non sarebbero mai stati commessi di nuovo, che ricostruire la storia passata non fosse così importante».

«Tanti protestano in Russia contro la guerra»

Noi, ha proseguito, «abbiamo cercato di perpetuare la memoria in tutti questi anni e ora vediamo quanto sia importante questo lavoro. Purtroppo sembra che lo Stato in Russia abbia di nuovo sconfitto le persone». Non si può dire però, risponde con garbo Scerbakova alla psicoterapeuta ucraina, che tutti in Russia accettino supinamente la guerra: «Chi protesta è in minoranza, è vero, ma tante persone sono state arrestate e sono in carcere per averlo fatto. Forse gli abitanti di Kherson (primo oblast conquistato dalla Russia in Ucraina, ndr) non lo sanno, ma in tanti fanno ciò che possono. So che è poco. Ma credo nella forza dei deboli e penso che ogni giorno tutti debbano fare qualcosa affinché l’Ucraina possa vincere. Anche per la Russia è vitale, esistenziale, che questa guerra finisca. Solo insieme potremo risolvere la situazione».

La poetessa e traduttrice Ol’ga Sedakova, grande traduttrice di Dante, in collegamento dalla Russia aggiunge che «la grande cultura russa non ha colpe per quello che sta accadendo. Chi conduce questa operazione speciale non ha nulla a che fare con la cultura russa e per questo sono d’accordo che autori e artisti che sostengono lo Stato russo vadano boicottati». Se la Russia è caduta negli stessi errori del passato, prosegue, è perché «il sistema crollato dal potere sovietico, una volta caduto, ha lasciato un vuoto e non è stato sostituito da nient’altro».

Oggi Sedakova è convinta che «un “noi” tra persone ucraine e russe possa ancora esistere. Non a livello statale, però: fino a quando questa guerra andrà avanti, non potrà esserci alcun “noi”».

L’apertura al «perdono»

Discorsi che per l’ucraina di Kharkiv, Davtjan, non possono bastare: «Finché la Russia non si pentirà, e dubito che lo farà, non ci sarà più alcun “noi”. Il lavoro encomiabile di Memorial non ha impedito alla Russia di scivolare di nuovo nel male assoluto. Ma Putin non ha capito che per noi ucraini è accettabile perdere la vita, ma non perdere la libertà».

L’intervento di Davtjan, caratterizzato da toni inevitabilmente duri e ruvidi, non ha lasciato alcuno spiraglio aperto per il dialogo. Ma si è chiuso ugualmente con una nota luminosa: «Alla mia Ucraina non auguro solo la libertà territoriale, ma anche spirituale. Tante persone oggi sono imprigionate nella spirale dell’odio, ma per liberarsi dal male è necessario perdonare. È ancora presto per parlarne, ma abbiamo bisogno che il mondo ci abbracci affinché, in futuro, possiamo essere in grado di perdonare i russi».

@LeoneGrotti

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