Se solo Cacciari mettesse un po’ di lucidità nei suoi borbottii

Il filosofo Massimo Cacciari (foto Ansa)

Su Affari italiani si riporta questa frase di Matteo Renzi: «Draghi sarebbe un perfetto presidente della Repubblica come è stato un perfetto premier. Se vogliamo mandarlo al Colle, tuttavia, serve la politica. Perché l’arrivo di Draghi non è stata una sconfitta della politica ma un capolavoro della politica». L’analisi dei rapporti di forza tra establishment e politica nella scelta di Draghi esaminata in questa presa di posizione di Renzi ricorda molto Woody Allen quando diceva: «Gli ho dato una nasata sul pugno, che la mano gli fa ancora male».

Su Dagospia si riporta un articolo di Ferruccio De Bortoli nel quale si scrive: «Uno sguardo più rivolto ai vantaggi immediati, alle aspettative delle varie corporazioni, e ovviamente alle ormai vicine elezioni. Un po’ com’è avvenuto con la legge di Bilancio di quest’anno che Draghi, in veste di governatore della Banca d’Italia o di presidente della Bce, avrebbe certamente trovato motivo e occasione per criticare». Si legge in queste parole la disperazione di chi sa che non si potranno evitare le politiche del 2023 e cerca un qualche artifizio per impedire che in Italia (come avviene normalmente in tutto in tutte le migliori democrazie) la politica torni a fare il suo mestiere. Le geniali strategie (molte peraltro cucinate proprio in via Solferino) che hanno imposto sin dal 1992, ma con più forza dal 2011, l’opzione di svuotare la politica ci hanno portato dove siamo oggi. Non sarebbe meglio usare un Draghi capo dello Stato per guidare un processo, in controtendenza rispetto all’ultimo trentennio, di ritorno a una politica garantita da un particolarmente autorevole Quirinale?

Su Dagospia si scrive: «L’uscita pro-Quirinale di Draghi ha irritato tutti i partiti, indebolendo l’azione di governo. Oggi, sulla Stampa, perfino il mite Marcello Sorgi lo sbatte al muro». Una mitezza da Agnelli (con o senza El kan)?

Su Huffington Post Italia Carlo Calenda scrive: «Abbiamo avuto ottimi presidenti della Repubblica negli ultimi trent’anni che non hanno però potuto evitare un declino drammatico del paese». Quando sei stato braccio destro di Luca Cordero di Montezemolo, anche se sei colto, se non sei stupido, se ti sforzi di fare la persona seria, il tuo pensiero resterà leggero come capelli appena lavati con uno shampoo di classe. La storia degli ultimi trenta anni è segnata da presidenti della Repubblica che hanno tentato di comprimere la politica (condizionando, talvolta sabotando, in modo estremo i governi scelti dagli elettori) finendo così per guidare dall’alto l’Italia: questa impostazione anche ricca di oneste intenzioni, anche fatta in buona fede, è quella che ha determinato alle radici il declino del nostro paese. Mario Draghi proprio perché è consapevole dei suoi limiti politici e dell’importanza (come gli hanno insegnato fior fior di democristianoni quando era direttore del Tesoro) della politica, è l’unico che ha una chance per invertire una rotta quirinalizia trentennale particolarmente deleteria.

Su Formiche Francesco Bechis scrive: «La Cina invece sì, spiega Grillo. E capeggia un gruppo di Stati che “hanno non solo sofferto un numero molto inferiore di decessi, ma, secondo uno studio di McKinsey, sono anche ritornati più velocemente alla (quasi) normalità”». E anche i treni arrivano in orario?

Su Formiche Carlo Fusi in merito a una rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale si chiede: «Quanti collassi può sopportare il sistema politico-istituzionale?». Già, quanti?

Su Startmag Giulio Sapelli scrive: «Ora l’Ue, non l’Europa, ci “dona” un “nuovo populismo da sussidio indebitante”».  Anche la Befana, per stare in stagione, regala carbone a chi è stato cattivo.

Su Startmag, sempre a proposito di Befana, Francesco Damato scrive: «Non so quanto carbone la Befana abbia messo nella calza destinata a Massimo D’Alema. Ne immagino molto per la posizione che egli si à guadagnato di segretario, o giù di lì, del partito dei risentimenti». D’Alema è così: tutto un sentimento e un risentimento.

Su Strisciarossa Paolo Branca scrive: «Un fantasma si aggira per la politica italiana, già inghiottita da una crisi senza precedenti: sta rinascendo un asse giallo-verde?». Lo spettro di Branca sta a quello marxiano che si aggirava per l’Europa, come i fantasmini di Ghostbuters stanno allo spirito del padre che appare ad Amleto sulle mura di Elsinore.

Su Byoblu si segnala questa notizia: «Pietro Ratto ha deciso quindi di lanciare un altro tipo di iniziativa, originale, per dimostrare il dissenso nei confronti della strategia governativa. Si tratta di rispedire al mittente le tessere elettorali»- Già Fedro aveva illustrato una simile strategia raccontando di castori che, inseguiti da cani, si rendevano conto di non essere in grado di correre più veloce dei mastini, e dunque sollevavano la zampa posteriore e con un morso recidevano i propri testicoli, staccandoseli e lanciandoli agli inseguitori poiché sapevano che, non appena i cacciatori avessero avuto in mano la loro “medicina”, immediatamente avrebbero abbandonato la caccia e richiamato i cani.

Sulla Nuova Bussola quotidiana Stefano Fontana scrive: «Le politiche governative anti-Covid stanno facendo a pezzi la Carta costituzionale, ma è la logica conseguenza di un cambiamento radicale del suo significato: da dichiarazione di princìpi e valori indisponibili a disposizioni interpretate alla luce della cultura dominante. Se la Costituzione è frutto di una “decisione” e non contempla più, come del resto la cultura diffusa, un ordine oggettivo, allora una decisione può anche sospendere le garanzie costituzionali e nessuno avrà nulla da dire». Se imbocchi la strada del nichilismo morale (magari nella sua veste tecnocratica), niente ti fermerà più.

Su Atlantico quotidiano Lorenzo Gioli scrive: «Secondo l’Osservatorio dell’Agcom sulle comunicazioni, nel 2021 gli ascolti televisivi sono calati del 7 per cento. Per non parlare dei telegiornali: fra le 18.30 e le 20.30 la riduzione negli ascolti del Tg1 è pari ad oltre 300 mila unità, mentre è di oltre 400 mila quella del Tg5. Gli ascolti del Tg La7 delle 20.00 si sono ridotti, invece, di 70 mila unità. Percentuali rilevanti che dovrebbero indurre il mondo dell’informazione mainstream a riflettere su come i giornalisti abbiano svolto il loro ruolo durante la pandemia». Un risultato a metà tra l’effetto “noia” di un sistema informativo particolarmente deludente e l’effetto “struzzo” di persone che hanno paura di fare i conti con la realtà.

Sul Post si scrive: «Il 30 dicembre scorso il giornalista americano Jeff Jarvis, rispettato e seguito studioso dei cambiamenti dell’informazione e della comunicazione digitale, ha espresso una critica – molto ripresa e commentata – verso i modi in cui il giornalismo tende a trattare le questioni scientifiche: il giornalismo non ha idea di come trattare la scienza come processo. I giornalisti vogliono risposte definitive, mentre la scienza controlla e ricontrolla costantemente le proprie domande, arrivando a più domande. Quindi i giornalisti distorcono la percezione pubblica della scienza, rendendo un pessimo servizio». In Italia la difficoltà dei media di raccontare la scienza è aggravata dal fatto che il lungo commissariamento della politica ha tolto alla società italiana un altro strumento essenziale per orientare e assorbire senza lacerazioni radicali i dissensi.

Sulla Zuppa di Porro Corrado Ocone, commentando le violenze avvenute nel centro di Milano e riferendosi alle forze dell’ordine, scrive: «Come meravigliarsi che esse non controllino, non intervengano, non prevengano né reprimano più come dovrebbero, se ogni azione da loro intrapresa viene considerata “fascista” e “discriminatoria”? E se un magistrato è sempre pronto ad intervenire e ad etichettare come “abuso di potere” ogni azione mirante a preservare la nostra sicurezza?” Già, come meravigliarsi?

Su Open si scrive: «Il professor Massimo Cacciari torna a criticare lo stato d’emergenza per il coronavirus dalle colonne della Stampa. Cacciari prende spunto dalla prossima elezione del presidente della Repubblica per proporre di trasformare il “presidenzialismo surrettizio” che secondo lui si è inverato con l’emergenza in un progetto che abbia anche i check and balances tipici delle democrazie». Il vecchio (più o meno come me) intellettuale veneziano sembra un po’ troppo quel ciclista, Gino Bartali (solo noi settantenni lo ricordiamo), che in ogni intervista ripeteva solo: «L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare». Peraltro comprendo la disperazione cacciariana: quel mondo della sinistra che abbiamo conosciuto con la sua capacità di analisi certo piene zeppe di ideologia ma insieme rigorosamente realistiche, non esiste più, disperso tra le retoriche di ex diccì senza Dc ed ex piccì senza Pci. Se fosse possibile, il nostro filosofo dovrebbe solo governare questa sua disperazione. L’idea di una fase costituente al posto delle pericolose retoriche di oggi è perfetta, ma va sostenuta con lucidità, non con borbottii che finiscono per affascinare solo quegli sperduti mentali dei no vax.

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