Mar cinese meridionale. Dal 12 luglio Pechino sarà «pronto alla guerra»

Martedì 12 luglio arriverà una sentenza che potrebbe scatenare un vero maremoto, fare della Cina uno Stato che viola il diritto internazionale e nella peggiore delle ipotesi scatenare anche una guerra. Il Tribunale arbitrale internazionale dell’Aia, infatti, dovrà dare un verdetto a riguardo di 15 casi specifici di dispute di sovranità tra Filippine e Cina nel Mar cinese meridionale. Il giudizio più atteso è quello sulla cosiddetta “nine-dash line”, ovvero la linea di nove trattini che delimita secondo Pechino le proprie acque territoriali.

ACQUE RICCHE E STRATEGICHE. Non si tratta di un problema minore di giurisdizione. Ogni anno cinquemila miliardi di dollari di merci attraversano il Mar cinese meridionale: chi lo controlla può scatenare una crisi internazionale in ogni momento e avere solidi argomenti per minacciare mezzo mondo. Inoltre, secondo alcune stime, sotto il Mar cinese meridionale giacciono dai 4 mila ai 25 mila miliardi di metri cubi di gas naturale e circa 30 miliardi di tonnellate di petrolio. Anche per questo, oltre che per la posizione, Vietnam, Brunei, Taiwan, Filippine e Malaysia accampano diritti sulle isole Paracels, Spratlys e sullo Scarborough Schoal.

ISOLE MILITARIZZATE. La Cina sostiene da anni che il 90 per cento del Mar cinese è di sua esclusiva proprietà, in barba al diritto internazionale (Unclos) che limita la Zona economica esclusiva di ogni Stato fino a 200 miglia nautiche dalla costa. Poiché non è mai riuscita a portare la legge dalla sua parte, né a comprare i paesi contendenti con i suoi negoziati bilaterali, ha deciso di prendersi le acque con la forza, trasformando artificialmente piccoli scogli in isole e dotandole di sistemi missilistici in grado di colpire aerei e navi nel raggio di 200 chilometri.

«PRONTI ALLA GUERRA». Stufi dell’arroganza cinese, e sicuramente con l’appoggio degli Stati Uniti, nel 2013 le Filippine sono ricorse all’Aia e il 12 luglio sono sicure di vincere. Ma la vittoria legale potrebbe aprire a scenari diversi. Pechino ha già definito la sentenza una «farsa politica» e annunciato che «non rispetteremo il verdetto». Ha poi minacciato gli Stati Uniti, consigliando di «parlare e agire con cautela e non intraprendere azioni che possano danneggiare la sovranità e gli interessi di sicurezza». I giornali eterodiretti dal regime comunista hanno scritto inoltre che il paese deve prepararsi anche «alla guerra» per difendere «i nostri diritti marittimi legittimi».

NAVI DA GUERRA E CACCIA. Ma questa non è solo una guerra di parole. Oggi gli Stati Uniti hanno annunciato che i suoi cacciatorpediniere nelle acque del Mar cinese sono passate di nuovo molto vicino alle isole reclamate da Pechino. Il portavoce della flotta americana nel Pacifico ha affermato che «i pattugliamenti vengono fatti in accordo alla legge internazionale» e hanno lo scopo di garantire la libertà di navigazione. L’anno scorso gli Usa avevano fatto una ricognizione con due bombardieri B52 vicino agli avamposti cinesi nell’arcipelago delle Spratly. Oggi la Cina potrebbe abbattere quegli aerei con i suoi sistemi missilistici.

FAR RISPETTARE LA LEGGE. Se sarà coerente con l’atteggiamento tenuto finora, la Cina rifiuterà il verdetto dell’Aia e velocizzerà ancora di più la militarizzazione delle isole. Gli Stati Uniti e l’Onu dovranno a quel punto decidere in che modo far rispettare il diritto internazionale. La speranza, ovviamente, è che nessuno ricorra alle armi. Ma questo punto non è scontato.

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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