Le parole di Paglia sul suicidio assistito sono gravi e irragionevoli

Il presidente della Pav dice che è ora di approvare una legge sulla morte assistita, facendo un torto non solo alla fede cattolica, ma alla ragione

Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita (Ansa)

«L’obbedienza del cattolico si è tramutata in un’infinita docilità a tutti i venti del mondo»: così scriveva Nicolas Gomez Davila per sintetizzare l’inversione deontologica del cattolico che per i Vangeli dovrebbe essere nel mondo, ma non del mondo, mentre adesso tende ad assecondare più i precetti del mondo che quelli del cattolicesimo.

Dinnanzi a tale evidente paradosso sembra essere incorso – suo malgrado – monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita (Pav), il quale, come riportato da Il riformista ritiene che anche nell’ottica del cattolicesimo sia giunto il momento per partecipare e legittimare l’approvazione di un testo di legge che legalizzi il suicidio medicalmente assistito alle condizioni indicate dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 242/2019 nel cosiddetto “caso Cappato-DJ Fabo”.

Già due anni or sono, come avevo scritto da queste colonne, al monsignore, che riteneva la vita non indisponibile, aveva risposto il filosofo Giovanni Fornero il quale, pur essendo un sostenitore della legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia, ma essendo altresì intellettualmente onesto e razionalmente rigoroso, ebbe a evidenziare i principi enunciati dal Magistero contro cui si muoveva la nuova posizione “disponibilista” assunta dal presidente della Pav.

La verità esiste

Oggi, con la posizione di Paglia divenuto ancor più “radicale”, si possono muovere alcuni rilievi al suo ragionamento, almeno lungo due direttrici distinte, ma convergenti: quella del metodo e quella del merito.

Si cominci dal metodo.

Sebbene Paglia ritenga che la Chiesa non sia portatrice di verità, così non è, non soltanto sulla base del passo evangelico per cui il cristianesimo è imitatio Christi in quanto Cristo è «la via, verità e la vita» (Gv. 14,6), ma anche in base alle risultanze della bimillenaria storia del Magistero che, se una cosa ha insegnato – tra le altre – è proprio che il cristiano non può prescindere dalla dimensione aletica della vita, che cioè deve fare della verità la sua missione, la sua passione e la sua resurrezione.

In tal senso san Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis Splendor, non a caso così intitolata, ha ammonito dalla tendenza odierna alla fuga dalla verità, poiché «abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo l’uomo va alla ricerca di una illusoria libertà al di fuori della stessa verità» (VS., n.1).

La verità, proprio perché è universale, dunque, non può essere soggetta a mutamento, e proprio per questo richiede sempre di essere scoperta e riscoperta, non già perché non esiste, ma, semmai al contrario, proprio perché esiste.

La Chiesa, per parte sua, ha già chiarito queste premesse di metodo, che, dunque, non andrebbero poste in discussione, specialmente da parte degli stessi uomini di Chiesa.

Una sentenza perfetta?

Ancora sotto il profilo del metodo: nelle riflessioni di Paglia si assiste ad un singolare rovesciamento, per cui non sarebbe più il mondo a dover apprendere dalla Chiesa, non a caso munita della potestas docendi, ma la Chiesa a dover apprendere dal mondo.

Non che una certa dialettica tra Chiesa e mondo sia da escludere, ovviamente, ma soltanto limitatamente al regno dei mezzi e non certo in quello dei fini, per cui la Chiesa senza dubbio può e deve dialogare con il mondo e con la storia secondo le modalità da questi offerti, ma senza perdere di vista il suo obiettivo, cioè la salus animarum, anche dentro, contro e oltre il mondo medesimo.

Se così non fosse – come appare evidente dalle parole di Paglia – la Chiesa finirebbe per identificarsi presto o tardi con il mondo, perdendo di vista la sua natura, la sua vocazione e la sua stessa trascendente fondazione.

È mai possibile che gli uomini di Chiesa oggi ignorino queste semplici “verità di partenza” del cattolicesimo?

Infine, sempre sul metodo: Paglia adotta la sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale, prescindendo da ogni aspetto critico sulla stessa, come se essa fosse esente da problemi e difetti, come se la stessa Corte Costituzionale fosse infallibile e come se i dettami da essa proclamati avessero una qualche rilevanza etica, teologico-morale o soteriologica nell’alveo del discorso cristiano di cui la Chiesa è custode.

La suddetta sentenza, infatti, è ben lungi dall’essere una sentenza “perfetta”, in quanto densa di contraddizioni, problemi giuridici sostanziali e non pochi profili criticabili dal punto di vista del metodo formale e del merito sostanziale.

Modificare la morale

Come possono, dunque, uomini di Chiesa come monsignor Paglia ritenere asetticamente adottabili certi tipi di pronunce giurisprudenziali – seppur provenienti dalla massima istanza giuridica di un ordinamento – che non soltanto scricchiolano al loro interno, ma che per di più contrastano frontalmente l’insegnamento morale della Chiesa medesima nella loro sostanza?

Intende forse Paglia modificare, o peggio semplicemente ignorare, ciò che la Chiesa ha fino ad ora insegnato in tema di morale in genere e di suicidio medicalmente assistito in particolare? Con che legittimità agirebbe in questo senso? Perché non dichiararlo apertamente, invece che tramite “fatti concludenti”? Non sarebbe più onesto avvisare l’intero orbe cristiano di una tale inversione di marcia, prima come onestà e trasparenza del metodo, che come contenuto di merito? Quale sarà il confine? Ci si limiterà alla cancellazione del Magistero soltanto in tema di morte assistita o, magari con il tempo, si andrà oltre estendendo tale metodo anche all’aborto, alla legalizzazione delle sostante stupefacenti, alla procreazione assistita, alle pratiche eugenetiche e cosi via? Chi porrà il limite? In base a quale criteri?

Rinunciare al magistero

Sul piano del merito.

I documenti del Magistero in tema di morte assistita come prassi anti-umana e anti-cristiana, sono quanto mai chiari e lampanti e così numerosi da non poter essere neanche elencati in un così breve spazio: tra i molti si pensi alla dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Iura et bona del 5 maggio 1980, o più di recente alla Samaritanus bonus, o a quanto indicato nella Nuova Carta degli Operatori Sanitari licenziata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari nel 2017 ai sensi della quale «l’inviolabilità della vita umana significa e implica l’illiceità di ogni atto direttamente soppressivo» (n. 165.).

Ad ogni modo, se la Chiesa di Paglia intende rinunciare al magistero morale fin qui sancito e consolidato e aprire una nuova era in cui l’adeguamento al mondo diventa l’unico criterio soteriologico è ben libera di farlo, ma non può pretendere che i giuristi rinuncino alla ragione in genere e alla ragion giuridica in particolare.
Opporsi alle pratiche di morte assistita infatti, non significa agire soltanto all’interno del quadro determinato dall’insegnamento morale della Chiesa o da pulsioni di carattere religioso, in quanto oltre l’argomento ex fide esiste e resiste anche l’argomento ex ratione.

La lezione di Ippocrate

Le pratiche di morte assistita – sub specie eutanasia o suicidio medicalmente o farmacologicamente assistito – infatti, costituiscono dei problemi giuridici di per se stessi, in quanto da un lato pretendono la mutazione deontologica del medico che da strumento di cura della vita deve diventare strumento di somministrazione di morte, ma anche e soprattutto perché traviano la natura giuridica e del diritto alla vita il quale proprio alla luce del dato di ragione, della ragione naturale, è e rimane un diritto indisponibile in quanto logicamente, assiologicamente e cronologicamente fondante rispetto a tutti gli altri diritti.

Ecco perché il “padre della medicina”, cioè Ippocrate, diversi secoli prima dell’avvento della rivelazione cristiana, era pervenuto, con le sole forze dell’umana ragione, a condannare l’atto di somministrazione della morte in quanto atto contrario all’etica medica nonché alla dimensione aletica della relazione etico-giuridica intercorrente tra medico e paziente.

Diritto su se medesimo

Dal punto di vista giuridico – ben al di là ovviamente dell’angusto angolo della correttezza formale delle norme (o delle sentenze) – l’ordinamento giuridico non può garantire la disponibilità di un diritto che è sottratto per sua propria natura allo stesso suo titolare.

In tal senso, i più eminenti maestri della civiltà giuridica italiana e mondiale hanno ben chiarito la questione: si pensi, tra i tanti esempi citabili, alle parole di Francesco Santoro-Passarelli che, per l’appunto, così ha insegnato: «Non esiste e non è neppure concepibile, malgrado ogni sforzo dialettico, un diritto sulla propria persona o anche su se medesimo, o sul proprio corpo, stante l’unità della persona, per la quale può parlarsi soltanto di libertà, non di potere rispetto a se medesima».

Fede e ragione

Ancora dal punto di vista del merito: un’ultima considerazione occorre avanzarla.

Proprio lo stesso monsignor Paglia chiarisce che laddove la legalizzazione delle pratiche di morte assistita è avvenuta lo scivolamento verso la somministrazione della morte nei confronti di soggetti impossibilitati a vario titolo ad esprimere un consenso è stata inevitabile, per cui data la conseguenza non si comprende come si potrebbe o dovrebbe accettare la legalizzazione della morte assistita che di quella conseguenza nefasta è diretta scaturigine: se si riconosce la nocività dell’effetto, occorre altresì riconoscere la nocività della causa da cui esso deriva, altrimenti, prima di ogni altra cosa, si dimostra semplicemente di non saper percorrere i sentieri del pensiero.

In conclusione: le parole di monsignor Paglia sono estremamente gravi non alla luce della fede, ma della ragione, sebbene tale gravità abbia portata ancor maggiore di quanto fin qui esposto poiché ancorata alla circostanza per cui lo stesso Paglia non si sia accorto di simili suddette difficoltà insite nella sua traballante prospettiva.

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