La «trista e periculosa» leggerezza di Giuseppe Conte

Il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Ansa)

Su Affaritaliani si scrive: «Conte ha spiegato ospite su Rai 3 a Mezz’ora in più: “Non c’è una concreta prospettiva per una confederazione, un’alleanza strutturale. Per noi è un bene. Come forze progressiste noi conduciamo battaglie di frontiera, per esempio sul salario minimo, noi continuiamo per la nostra strada. La convergenza deve essere su obiettivi condivisi: non deve esserci un compromesso al ribasso“. ”Noi sicuramente ci sediamo al tavolo e ascolteremo quello che ci sarà proposto. Ma da subito chiariamo che questo tavolo nasca da una diagnosi condivisa, e poi interveniamo a portare i rimedi. Fughe in avanti in questo contesto mi sembrano molte insidiose”. “Su alcuni temi come il salario minimo, il Pd sta raggiungendo posizioni che noi già avevamo da tempo, anzi sono nostri cavalli di battaglia. Su altre posizioni non abbiamo registrato un effettivo cambiamento, come sul conflitto russo-ucraino e anche per quanto riguarda le tecnologie ecosostenibili, parlo di inceneritori che per noi sono banditi”».

Già nel Cinquecento Francesco Guicciardini nei suoi Ricordi ci metteva in guardia da uomini come Giuseppe Conte: «Non credo che sia peggior cosa al mondo che la leggerezza, perché gli uomini leggieri sono istrumenti atti a pigliare ogni partito, per tristo, periculoso e pernicioso che sia; però fuggitegli come il fuoco».

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Su Huffington Post Italia Ugo Magri scrive: «Misteriosamente il M5s resiste sopra al 15 per cento. Anche se il suo leader è mediaticamente sparito, i suoi colonnelli fuggiti e la mitica democrazia diretta sembra diventata un mortorio. Com’è possibile? Perché il Movimento è diventato un parcheggio di voti».

La disgregazione della democrazia italiana avviata nel 1992 e perfezionata nel 2011 ha prodotto guasti strutturali che hanno portato alla nascita di un movimento di protesta senza visione e senza razionalità di fondo, arrivato nel 2018 al 32 per cento dei voti. Sarà difficile riassorbire questa demagogica protesta finché non si sarà rimediato ai guasti strutturali che l’hanno generata.

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Su Dagospia si riprende un articolo di Sebastiano Messina per La Repubblica dove si scrive: «È impossibile non sorridere, vedendo quei partiti che promettevano la meritocrazia azzuffarsi per piazzare i loro fedelissimi. Però leggere che Pasquale Tridico – l’architetto del reddito di cittadinanza, il ministro del Lavoro del mai nato governo Di Maio e infine l’uomo imposto dal M5s nella spartizione di poltrone con la Lega – dice che la sua sostituzione alla presidenza dell’Inps “è un fatto gravissimo”, perché “la legge non consente lo spoils system”, fa sorridere un po’ di più».

Persino quella centrale dell’isterismo antimeloniano che è il quotidiano del povero Maurizio Molinari non se la sente di utilizzare le critiche contesche al governo in carica.

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Ruben Razzante scrive: «L’Opa che Giuseppe Conte aveva lanciato alle politiche di otto mesi fa sembra essersi sgonfiata. Il centrosinistra è a netta trazione dem e i pentastellati in alcune città sono scesi a percentuali imbarazzanti, tra l’1 e il 2 per cento».

In campo nazionale nel 2018 i 5 stelle sono riusciti, grazie al commissariamento della democrazia italiana avviato da Giorgio Napolitano, a rappresentare un popolo infuriato perché lasciato senza effettuale rappresentanza, con una protesta travolgente seppur priva di qualsiasi visione politico-culturale. Nelle elezioni amministrative, invece, dove si scontrano diverse visioni politiche legate alle storie delle comunità, per la “protesta senza testa” non c’è spazio, tranne quando, come avvenne per Chiara Appendino a Torino e Virginia Raggi a Roma, il voto locale assume un significato di protesta generale. Però in questi casi citati, i “governi locali” tramontano senza lasciare tracce.

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