La mostra di Cattelan? Presentismo nichilista all’ennesima potenza

Cattelan, Breath Ghosts Blind, dal sito pirellihangarbicocca.org

Siccome i critici d’arte non ci arrivavano – o facevano finta di non arrivarci – gli organizzatori della mostra di installazioni di Maurizio Cattelan Breath Ghosts Blind al Pirelli HangarBicocca di Milano lo hanno scritto a grandi lettere sul manifesto pubblicitario che riproduce una delle opere, quella che evoca gli attentati dell’11 settembre: «Qui l’arte ferma il tempo».

Altro che una reminiscenza del monolite di 2001 Odissea nello spazio o un totem oscuro: il grattacielo in legno e acciaio attraversato dalla sagoma di un Boeing, perfettamente neri entrambi, è la storia ridotta a fotogramma che non significa nulla, come tutti i fotogrammi isolati degli eventi del mondo. È un’altra sofisticazione del sempre ostentato nichilismo dell’artista. L’arte che cristallizza l’attimo, lo isola dal contesto e perciò lo rende inintelligibile. Disonestamente lo rende incomprensibile per poter ribadire il discorso ideologico secondo cui nulla ha senso. “Blind”, ciechi, non a causa della massa nera del parallelepipedo che ha assorbito la luce e perciò ha reso inutile la vista, ha azzerato la percezione sensoriale e senza percepito la ragione gira a vuoto; ma ciechi nel senso di ignoranti del significato dell’evento. Ma se siamo ignoranti è per colpa dell’arte che “ferma il tempo”, e fermandolo ci impedisce di percepire l’evento nella sua interezza, quindi di capirlo e giudicarlo.

In “Blind” si impone una visione fotogrammatica (dunque necessariamente priva di senso) della realtà e un’idea dell’arte come eternizzato presente del presente. Il presentismo nichilista elevato all’ennesima potenza. Del presentismo ho cercato di discutere con Rémi Brague in visita in Italia per una serie di conferenze nel corso di un’intervista che apparirà su Tempi di ottobre, chiedendogli se non pensasse che ormai era diventato un atteggiamento diffuso anche in ambienti che nichilisti non dovrebbero essere, come quello cattolico.

Ha risposto smontando l’equivoco implicito nella mia domanda: «Sì e no. In questo momento il nichilismo è la cosa più diffusa al mondo. Non ci si deve rappresentare il nichilismo come quello della Russia del XIX secolo, come il ribelle Bazarov in Padri e figli di Turgenev, e i nichilisti come personaggi barbuti e mascherati con una grossa bomba fra le mani. Oggi domina un nichilismo soft, non violento, che consiste nel ridurre il mondo all’esperienza immediata che ne facciamo al momento. Come sappiamo, il passato e l’avvenire esistono solo nel presente: il passato è già stato, e il futuro deve ancora essere. Il passato lo facciamo rivivere noi nella memoria, nel ricordo, nella reminiscenza, siamo noi che lo facciamo entrare di nuovo nella nostra esperienza. E ciò che fa esistere il futuro è il progetto di far accadere qualcosa attraverso la nostra azione. Dunque siamo noi che decidiamo se vogliamo arricchire il nostro presente attraverso la memoria del passato, accettando ciò che ci viene trasmesso ed eventualmente arricchendolo e approfondendolo, e siamo ancora noi che arricchiamo il nostro presente con progetti dell’avvenire, coi desideri, ecc. C’è soltanto il presente, ma può essere un presente ricco del passato e gravido di avvenire, oppure può essere un presente povero; quando si parla di “presentismo”, si parla della riduzione della nostra esperienza a un presente miserevolmente povero. Un presente che dimentica tutto ciò che ha portato ad esso, che dimentica tutto ciò che lo ha fatto diventare quello che è; un presente che è essenzialmente ingrato, che non sa dire “grazie” a tutto ciò che lo ha reso possibile. E perciò è un presente apatico, abulico, amorfo, privo di volontà. Io non direi che il presentismo non è appannaggio soltanto dei nichilisti; direi che il presentismo è una forma di nichilismo generalizzato nel quale tutti viviamo: è una minaccia, è una tentazione per ciascuno di noi, sempre presente».

Il nichilismo diffuso è la spiegazione del successo dei più celebrati e ricchi degli artisti contemporanei. Si presentano come ribelli, ma in realtà celebrano l’aria del tempo, sono perfettamente organici alla cultura egemone. Nel caso di Cattelan, però, non è l’abulia lo stato d’animo a cui lo spettatore è condotto, ma piuttosto l’ansia e la depressione. Le migliaia di piccioni imbalsamati (Ghosts) che scrutano i visitatori, appollaiati sulle travi della fabbrica immerse nella penombra, trasudano necrofilia. E vorremmo sapere che cosa ha bevuto chi ha paragonato Breath, un senzatetto e un cane sdraiati l’uno di fronte all’altro, accomunati dalla funzione respiratoria oltre che dalla posizione dei corpi, al monumento funebre a Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia a Lucca, nel quale la salma di Ilaria è vegliata da un grosso cane accoccolato ai suoi piedi. Jacopo gioca sul lancinante contrasto fra la morte dell’essere dotato di autocoscienza e la vita persistente nell’essere che non ha coscienza di sé né del senso della morte; Cattelan ci tiene a dirci che l’uomo è una bestia: respira allo stesso modo, giace allo stesso modo. Le due statue sono collocate in modo tale che una è perfettamente nascosta dall’altra, come se ce ne fosse una sola. Perché non c’è differenza, sono un’unica entità, sono dello stesso genere. Presto moriranno entrambi come cani. Come noi tutti, come tutti gli esseri del mondo.

Dall’illuminismo alle tenebre della cecità nichilista è un attimo, l’attimo del fotogramma che cristallizza un fatto rendendolo incomprensibile. Paradossalmente è l’Inno delle Lodi del martedì, giorno dei Misteri dolorosi del Rosario, cioè della deposizione di Cristo nel buio del sepolcro, a promettere la restituzione della vista ai ciechi: «Nati dalla Luce, figli del Giorno, andiamo verso il Signore del mattino. Il Suo chiarore dissipa le ombre e riempie il nostro cuore di letizia. Il nostro Dio, Padre della vita, tolga l’oscurità dai nostri occhi e ci riveli, infine, quale gloria ci dona nel Suo Figlio Unigenito».

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