La grazia di poter dire ogni giorno: «Eccomi, sono nato!»

La grande lezione del piccolo Francesco Chenyong, che ha scoperto in Italia la bellezza di avere un padre e una madre

Don Emmanuele Silanos (a destra) con Francesco Chenyong e suo padre Michele

«Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il Regno di Dio» (Mt 19,14). «Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli» (Mt 18,3). Perché questa preferenza di Gesù per i piccoli? Cosa vuol dire che dobbiamo essere come loro? Non possiamo mica tornare nel ventre di nostra madre (cfr Gv 3,4), diceva il vecchio Nicodemo, non senza una punta di sarcasmo.

Michele è un mio grande amico, ed è grazie a lui se ho deciso di entrare in seminario, ormai più di vent’anni fa. Oggi è sposato e ha due figli, Ludovica e Francesco Chenyong. Francesco è nato in Cina e non ha mai conosciuto i suoi genitori naturali. Quando Michele e Giuliana sono andati a conoscerlo, aveva due anni e non aveva ancora imparato né a parlare né a camminare, perché nessuno si era preso il tempo e la voglia per insegnarglielo. Oggi Francesco è un bambino molto sveglio e vivace: gli piace giocare con gli amici e suonare il pianoforte.

L’ultima volta che Michele è venuto a trovarmi a Roma, mi raccontava che Francesco, che allora aveva cinque anni, ogni giorno si svegliava molto presto, correva in camera dei suoi e si infilava nel lettone. Poi prendeva il lenzuolo, se lo metteva sulla testa per nascondersi e, togliendolo alla svelta, esclamava esultante: «Eccomi, sono nato! Ciao papà, ciao mamma!». E faceva così tutte le mattine…

Il primo, grande insegnamento che traggo dal gioco del piccolo Francesco è che ciascuno di noi ha bisogno di sapersi figlio, atteso e voluto: questa è la condizione per crescere, diventare uomini e donne adulti e costruire qualcosa di buono nella nostra vita. In fondo, la missione è l’annuncio dato a tutto il mondo che la vita è un dono che ci è stato fatto da qualcuno che ci ama e che l’esistenza di ogni uomo e di ogni donna ha un valore inestimabile.

Il gesto di Francesco, poi, ci dice anche un’altra cosa: che, come lui, tutti abbiamo bisogno di un padre e di una madre. Ed è per questo che Cristo è diventato uomo: per farci sapere che non siamo orfani, che abbiamo un Padre che da sempre ci ha pensati e amati. Perché il Padre è Colui che ci dà un nome, ci dice da dove veniamo e indica una direzione nella vita. Ma ciascuno di noi ha bisogno anche del calore di una madre, che dapprima ci accolga dentro di sé, ci custodisca col suo corpo e poi ci dia alla luce, sempre pronta a prendersi cura di noi, correggendoci e perdonandoci ogni volta che ne abbiamo bisogno. Nel momento in cui compiva la sua missione, Cristo ci ha consegnato a una madre. La Chiesa ci accoglie, con premura materna, dentro un’esperienza di comunione, ci educa generandoci alla fede. E, come tutte le mamme, è pronta a riabbracciarci sempre, anche quando sbagliamo.

Per questo c’è bisogno di ritornare bambini, di ritornare al momento in cui, con lo stesso stupore del piccolo Francesco, riscopriamo che la realtà e la vita sono un dono e che possiamo conoscerne fino in fondo il senso e la bellezza solo se ci riconosciamo figli.

* * *

Don Emmanuele Silanos, autore di questa testimonianza, è vicario generale della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo

Exit mobile version