La colossale opera di ampliamento del canale di Panama. Un’impresa che coinvolge tutto il mondo, guidata dall’Italia

Viaggio di Tempi nel cantiere del canale attraversato ogni giorno da 38-42 navi. La “terza corsia” ne farà passare altre 10-14, di dimensioni maggiori. Ogni passaggio costa fra i 50 e i 200 mila dollari


Reportage da Panama. Che razza di opera sia mai l’ampliamento del Canale di Panama si comincia a capirlo quando il fuoristrada imbocca il declivio che porta al sito di costruzione delle nuove chiuse del Pacifico, e ci si ritrova su quello che sarà il pavimento della nuova struttura. È una strada tutta sobbalzi e pozzanghere larga 55 metri, che si inoltra in un canyon artificiale per adesso lungo poco più di un chilometro. Due pareti di cemento armato a destra e a sinistra vi guardano e vi tolgono il fiato con la loro imponenza biblica. Pareti grigie, perfettamente allineate, cinquanta metri di strapiombo che fanno di ogni essere umano nei paraggi il parente di un insetto, ma per niente monotone.

Ponteggi e armature le ricoprono in molte aree, vani e perforazioni di varia dimensione ma sempre geometricamente disposti ne percorrono la superficie, incisioni longitudinali e latitudinali fanno pensare a grandi lastre giustapposte. Le gru volteggiano come fenicotteri sul pantano della stagione delle piogge, che vuol dire acquazzoni a ripetizione e una permanente pellicola di umidità, 93 per cento per tutta la giornata di lavoro, turno diurno e turno notturno di dieci ore ciascuno, mai meno di 26 gradi di temperatura, spesso più di 30.
E in mezzo a tutto questo, loro: gli operai, i tecnici, i muratori, i manovratori, gli autisti. Sospesi nel vuoto a far cantare i martelli pneumatici, arrampicati su impalcature che sembrano spingersi fino in cielo, intenti ad alimentare le betoniere e sorvegliare i nastri che portano il cemento, pilotanti caterpillar grandi come dieci automobili che sciamano avanti e indietro nel letto della futura chiusa, abbordando con prudenza i saliscendi del cantiere.

«Le dimensioni contano. Questa è una delle opere più complesse che mi sia toccato dirigere in vita mia. Complessità della logistica, della produzione, complessità della parte elettromeccanica dell’opera, che è fuori dal comune. Un sistema così non è mai stato realizzato prima». Da sei settimane Giuseppe Quarta (foto a fianco), ingegnere di Salini Impregilo, è direttore dei lavori, responsabile del progetto e del cantiere. I lavori di ampliamento del Canale di Panama sono una faccenda da 5,25 miliardi di dollari, che probabilmente alla fine aumenteranno a 6 o 7 a causa di costi aggiuntivi. Di questi 5 e passa miliardi la fetta più grossa, una commessa da 3 miliardi e 356 milioni di dollari, riguarda i lavori per il nuovo complesso di chiuse del canale. Chiamiamolo, per capirci, la “terza corsia” del canale.

Il progetto è stato assegnato, nell’agosto 2009, a un consorzio internazionale che si chiama Gupc (Grupo unidos por el canal) formato dalla spagnola Sacyr (48 per cento), dall’italiana Salini Impregilo (38 per cento), dalla belga Jan De Nul e dalla panamense Constructora Urbana. Gli altri lavori di ampliamento riguardano l’alveo di 6 chilometri che connetterà le nuove chiuse del Pacifico al Corte Culebra, la sezione del tragitto (la più stretta degli 82 chilometri che si percorrono per andare da un oceano all’altro) in cui le vecchie e la nuova corsia del canale si ricongiungeranno, e opere di dragaggio sul lato dell’Atlantico come su quello del Pacifico, nel Corte Culebra e nel Gatun, il lago artificiale di 425 chilometri quadrati subito dopo l’ingresso sul lato atlantico.

L’ingegnere italiano
Quarta ha diretto per anni lavori in tutto il mondo –perché gli italiani hanno costruito e continuano a costruire in mezzo mondo, alla faccia di cinesi, francesi, spagnoli, sudcoreani, eccetera – dall’Argentina alla Cina, dagli Stati Uniti al Brasile, e quindi non si spaventa. Ma la complessità, dovuta alle misure e ai problemi logistici, è grande come lascia subito immaginare il canyon di calcestruzzo a pochi chilometri dal ponte delle Americhe. Si tratta di produrre centomila metri cubi di calcestruzzo al mese per questo sito e altrettanti per le chiuse dell’Atlantico, distribuirlo lungo la linea dell’opera qui sul Pacifico e trasportare l’aggregato con cui produrre calcestruzzo a 80 km da qui sull’altro oceano per via d’acqua, perché di là il basalto giusto non c’è; si tratta di dirigere 7.300 uomini nei due cantieri; si tratta di installare paratoie altre 30-35 metri, larghe 57, pesanti 3.300-3.700 tonnellate.

Dopo avere costruito i loro vani su di un lato dei due nuovi canali – gigantesche nicchie dove potrebbe nascondersi Godzilla –, perché diversamente da quelle vecchie e in funzione da un secolo nelle corsie attuali del canale, ad apertura obliqua, queste sono paratoie scorrevoli, che si muovono su binari. Sedici bestioni, otto dei quali hanno già attraversato l’Atlantico, gli ultimi quattro proprio l’11 giugno. Made in Pordenone, negli stabilimenti della Cimolai: una commessa da 400 milioni di dollari, di cui almeno 50 se ne andranno nei costi del trasporto (effettuato dalla nave speciale semi-sommergibile Sun Rise) e dell’assicurazione.

Eh, sì, il nuovo canale di Panama parla anche italiano. Il progetto ingegneristico completo e dettagliato dell’opera è stato steso fra Stati Uniti, Olanda, Argentina e Italia. Italia vuol dire Selex-Elsag, ovviamente Cimolai, Sc Sembenelli, Gamma Geotecnica, Tecnic, Lorenzon, ecc. E parla un po’ tutte le lingue del mondo perché le cruciali componenti elettromeccaniche chiamano in causa, oltre a quelle italiane, imprese di Stati Uniti, Canada, Messico, Costa Rica, Panama, Colombia, Spagna, Olanda, Germania, Cina e Corea del Sud. I pezzi più grossi sono le 16 paratoie imbarcate nel porto di Trieste e le 156 valvole che le faranno funzionare (non tragga in inganno la parola, sono aggeggi che pesano fra le 12 e le 31 tonnellate, a seconda che siano grandi 4,5 metri per 4 oppure 7 metri per 4,3), prodotte dalla sudcoreana Hyundai.
Ci vuole tutto il mondo per realizzare un’opera che alla fine sarà paragonabile, dal punto di vista meramente materiale, al canale eroicamente scavato e attrezzato fra il 1904 e il 1914. Quello impose lo scavo di 152,9 milioni di metri cubi di terra e roccia: se si fosse caricato il materiale sulle normali piattaforme di un treno, sarebbe stato un treno lungo quattro volte la lunghezza dell’equatore.

Spazio per navi più grandi
Stavolta i milioni di metri cubi scavati saranno 126, che è poco meno. Si costruiranno sei nuove camere di chiuse, come sei erano, disposte diversamente lungo il percorso, quelle delle due vecchie corsie. Ma più grandi in altezza, larghezza e profondità, e qui sta tutto il senso della faccenda. Spiega Ilya De Marotta, vicepresidente dell’Autorità del Canale di Panama (Acp) responsabile per il programma di ampliamento: «Sin dal 2000, subito dopo che la gestione del canale era passata dagli Stati Uniti a Panama, ci siamo accorti che la struttura era arrivata alla sua capacità massima, e che si stava sviluppando un mercato del trasporto marittimo dal quale noi saremmo stati tagliati fuori: quello delle navi post-Panamax, cioè imbarcazioni che per le loro dimensioni non avrebbero potuto attraversare le nostre chiuse. La tendenza mondiale è a costruire navi da trasporto sempre più grandi. Così abbiamo deciso il progetto di allargamento».

Panamax è la misura massima delle navi che possono attraversare il canale attuale: 294,1 metri di lunghezza per 33,5 metri di larghezza, con un pescaggio massimo di 12,8 metri. Quando una di queste navi attraversa le chiuse di Miraflores sul Pacifico, per esempio, i bordi distano dal molo a volte appena 30 centimetri: visto con i nostri occhi. Attraverso le nuove chiuse invece potranno passare, quando saranno pronte, navi lunghe 366 metri e larghe fino a 55 e con un pescaggio di 18,3 metri. Detto così, non sembra una grandissima differenza. Nella realtà vorrà dire passare, per esempio, da portacontainer caricate con 4.400 unità di trasporto a portacontainer stipate con 13-14 mila container. Quotidianamente il canale di Panama viene attraversato da 38-42 navi a seconda dei periodi; la “terza corsia” farà passare altre 10-14 navi al giorno, di dimensioni maggiori di quelle che continueranno a transitare dalle vecchie chiuse.

Sono parecchi soldi in più, perché ogni passaggio costa fra i 50 e i 200 mila dollari, a seconda della stazza e del tipo della nave, e a seconda che abbia prenotato oppure no. Ogni giorno vengono messi all’asta fino a 25 coupon per avere la priorità di transito. Chi ha prenotato ci mette 8 ore ad attraversare il canale, chi non lo fa ce ne mette, fra attesa e attraversamento, da 16 a 20. Il transito più costoso che si ricordi risale al 2010, quando la lussuosa nave da crociera Norwegian Pearl sborsò 375 mila e 600 dollari per avere la precedenza su tutti. Gli effetti sul bilancio dello Stato saranno benefici: attualmente l’Acp versa quasi 1 miliardo di dollari all’anno nelle casse del Tesoro nazionale. Nei 14 anni di gestione panamense lo Stato ha incassato qualcosa come 8,5 miliardi di dollari. Nei precedenti 85 anni di amministrazione nordamericana la Compagnia del Canale prima e l’agenzia governativa statunitense poi incaricate di gestire l’attività hanno versato allo stato panamense sotto forma di affitti e imposte non più di 1,83 miliardi di dollari, pare.

L’Acp punta a quasi raddoppiare il tonnellaggio di merci in transito attraverso Panama (dagli attuali 312-330 milioni di quintali all’anno a 581) fra il momento dell’entrata in funzione delle nuove chiuse e il 2025, e a triplicare i profitti versati al Tesoro pubblico nello stesso arco di tempo. Ma questa non è la sua unica preoccupazione. «Il nostro obiettivo è mantenere Panama come il principale centro logistico della regione», spiega la De Marotta. «Non si tratta solo di far passare più navi e versare più soldi allo Stato, ma di far crescere tutto il comparto marittimo, cioè tutti i servizi relativi al traffico di navi: le attività portuali, il movimento dei carghi attraverso la ferrovia, le forniture di combustibile, le attività di manutenzione e riparazione, il mercato rappresentato da equipaggi e viaggiatori».

Un toccasana per il Pil di Panama
Le attività amministrate dall’Acp incidono sul Pil di Panama per una percentuale variamente stimata fra il 6 e il 10 per cento; l’autorità impiega direttamente 10 mila unità di personale, ma molte di più se si calcola l’indotto. Considerando il fatto che decine di porti atlantici dell’America del Nord e del Sud si stanno attrezzando per poter far attraccare navi post-Panamax, e che di qui a pochi anni gli Stati Uniti cominceranno a esportare verso l’Asia il loro Gpl derivato dal gas di scisto, la scommessa panamense sembra poggiare su solide basi. Lo dimostra anche il fatto che ai cinesi pare sia venuto in mente un progetto da extraterrestri, che farebbe della Repubblica popolare un gigante del trasporto marittimo: creare un secondo canale fra Atlantico e Pacifico nell’America centrale, da realizzare in Nicaragua sfruttando l’esistenza di un grande lago. L’opera si svilupperebbe lungo un percorso di 288 chilometri e costerebbe la bazzecola di 50 miliardi di dollari.

È anche per la minaccia potenziale del megaprogetto sino-nicaraguense che Panama vuole accelerare i tempi del suo progetto di ampliamento. Che un po’ di ritardo lo ha accumulato. Secondo il contratto firmato i lavori di ampliamento dovevano essere conclusi nell’ottobre 2014, data del centenario del canale, quindi si sono spostati i termini al giugno 2015 e finalmente al dicembre 2015. Attualmente l’intera opera è a uno stadio di realizzazione del 75,2 per cento (fonte Acp). A causare ritardi sono stati soprattutto due fatti: una controversia fra il Gupc e l’Acp all’inizio di quest’anno relativa a costi aggiuntivi dell’opera e alla loro copertura che ha prima rallentato i lavori e poi li ha completamente bloccati, fra il 5 e il 20 febbraio scorsi.
Altri quindici giorni si sono persi fra aprile e maggio a causa di uno sciopero del Suntracs, il principale sindacato dei lavoratori dell’edilizia. Per quanto riguarda la controversia sui costi aggiuntivi, le parti hanno concordato di risolverla attraverso un arbitrato internazionale che avrà la sua prima sessione a settembre e che non dovrà protrarsi oltre il 2018.

Questo, assieme a un bond da 400 milioni di dollari emesso dall’assicuratrice Zurich che garantisce analoga somma versata dal consorzio, ha permesso di sbloccare i lavori. Il sindacato, per parte sua, ha ottenuto aumenti salariali del 9 per cento su quattro anni per tutti i lavoratori del settore e dell’11 per cento per quelli del Gupc. Una cosa però va detta: la costruzione del canale cent’anni fa costò un’ecatombe, 22 mila persone persero la vita per incidenti legati all’uso degli esplosivi, ai crolli e soprattutto per la malaria e altre malattie. Sette anni di lavoro del progetto di ampliamento (le prime opere sono del 2007) hanno finora causato la morte di sei persone. Nei cantieri del Gupc non può succedere di vedere un’immagine come quella in bianco e nero che si incontra nel museo del Canale alle chiuse di Miraflores: un afroamericano che lavora in giacca e cravatta, la testa scoperta senza protezioni e i piedi perfettamente scalzi.

@RodolfoCasadei

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