La banalità dell’#hashtag

Uno di noi, una certa simpatia per Renzi ce la aveva; il Patto del Nazareno era cosa buona, e più, si rimprovera a Silvio di averlo rotto che non a Matteo.

Ma ciò, che quello che ha la simpatia, neanche lui sopporta è la banalità dello #hashtag; da un fiorentino, poi.

Perché non scrisse quando il Patto del Nazareno fu concordato:

#Tu dici che Silvio il parente
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente #matteo

O ancora quando rassicurò al Presidente Letta di stare tranquillo:

#La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a’ capelli
del capo ch’elli avea di retro guasto #matteo

Od anche sulla Riforma della Giustizia:

#A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé in sua legge #matteo

O a proposito dell’abito firmato del Ministro Lupi:

#Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta #matteo

Ecco esempi di #hastag che ci si sarebbe aspettati da uno che l’è di Firenze.

Ma per dirvela tutta, tutti e due ne abbiamo piene le scatole degli #: come è possibile che una cosa seria come la vita di un popolo, anzi nel mondo globale dei popoli, possa essere affidato a un linguaggio sincopato, veloce e alla fine vuoto?

Torniamo a parlare, per favore. Per esempio quando Aldo Moro parlò delle “convergenze parallele” stava spiegando, discretamente, che intendeva governare con il PCI.

Quelle parole furono la pallottola che lo uccisero.

Una roba seria, il linguaggio; una roba seria il politico che parla.

E se un linguaggio non c’è, è perché non c’è esperienza della vita di un popolo: questo è il problema della politica.

Foto Ansa

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