«L’Azerbaigian ha ucciso i miei figli di otto e dieci anni»

Una madre racconta come l'esercito di Baku ha bombardato i villaggi armeni del Nagorno-Karabakh, sterminando la sua famiglia. I rifugiati (oltre 98 mila) costretti alla fuga piangono all'arrivo in Armenia: «Non abbiamo più niente»

Mikayel e Nver Ghazaryan, bambini armeni di otto e dieci anni uccisi dall’Azerbaigian in un bombardamento indiscriminato sul villaggio di Sarnaghbuyr, nel Nagorno-Karabakh

Oltre metà della popolazione armena del Nagorno-Karabakh ha già lasciato la regione e l’Azerbaigian sostiene che i civili se ne stanno andando «volontariamente». Ma la realtà è un’altra, come dimostra la storia di Zarine Ghazaryan. Quando Baku ha iniziato a bombardare le città dell’Artsakh il 19 settembre, sostenendo di colpire solo obiettivi militari, la mamma di quattro bambini non si trovava nel suo villaggio di Sarnaghbuyr, nella regione di Askeran, ma in quello vicino alla disperata ricerca di un po’ di latte in polvere per dare da mangiare al suo ultimo figlio, Karen. Nove mesi di blocco criminale del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbaigian avevano infatti reso introvabile il latte in polvere in Artsakh, al pari di pane, frutta, verdura, benzina e gas per il riscaldamento.

Mikayel e Nver, uccisi dalle bombe dell’Azerbaigian

Mentre cercava da mangiare per la sua famiglia, Zarine ha sentito le prime esplosioni e ha cercato di rientrare a casa, ma le raffiche di proiettili che arrivavano dappertutto l’hanno costretta a nascondersi.

La telefonata di un amico l’ha informata che suo figlio Seyran era rimasto gravemente ferito e portato d’urgenza all’ospedale della capitale, Stepanakert, mentre i peacekeeper russi avevano evacuato gli altri suoi figli. Quando è arrivata all’ospedale, però, ha scoperto che le bombe sganciate dall’Azerbaigian nel suo villaggio, dove non c’era alcun obiettivo militare da colpire, avevano ucciso due dei suoi figli: Mikayel e Nver, rispettivamente di otto e dieci anni.

«Ho visto persone alle quali è esplosa la testa»

«All’ospedale mi hanno fatto vedere i miei bambini: erano in uno stato terrificante» con profonde ferite alla testa, «è orribile», ha dichiarato la donna alla Bbc. Un ragazzino del villaggio di 15 anni, Arman, era con i suoi figli quando le bombe sono iniziate a cadere. Anche lui è rimasto ferito, ma si è salvato.

«C’erano esplosioni dappertutto», ricorda Arman parlando con l’emittente inglese. «Ho visto morti, ho visto feriti. Ho visto persone alle quali è esplosa la testa. È stato terribile. Abbiamo cercato di proteggere Mikayel e Nver portandoli sotto alcuni alberi ed è proprio lì che è caduta una bomba».

«Non ci saranno più armeni in Artsakh»

Altre tre persone sono morte nel villaggio di Sarnaghbuyr il 19 settembre, mentre 15 sono rimaste ferite. I sopravvissuti si sono uniti alla marea umana che in questi giorni sta scappando dall’Artsakh, per sfuggire alla «pulizia etnica dell’Azerbaigian», come dichiarato dal primo ministro armeno Nikol Pashinyan.

Più di 98 mila persone (su 120 mila) hanno già lasciato le loro case ma, secondo il premier, «tra pochi giorni l’esodo sarà finito e non sarà rimasto più nessun armeno in Nagorno-Karabakh».

«Abbiamo perso tutto. Non voglio più vivere»

L’Azerbaigian ha sradicato gli armeni dalla loro terra in modo brutale. Le testimonianze raccolte dalla città armena di confine di Goris da RadioFreeEurope parlano di persone che hanno perso tutto e sono state costrette a lasciarsi indietro tutto ciò che avevano costruito in una vita, ormai perso per sempre.

«Siamo arrivati qui ieri», racconta una donna, «stiamo cercando di capire dove ci manderanno e dove potremo dormire stanotte. Non abbiamo neanche una coperta, nei giorni scorsi abbiamo dovuto dormire in macchina. Cos’altro potevamo fare?». Poi scoppia a piangere: «Abbiamo perso la nostra casa e tutti i nostri averi. Non voglio neanche più vivere».

Il parto durante la fuga

Una signora anziana racconta la sua personale odissea: «Ho dormito per cinque giorni nell’aeroporto di Stepanakert: non ho mangiato per quattro giorni. Eravamo affamati. La mia famiglia allargata aveva 13 case nel Nagorno-Karabakh e ora non abbiamo più niente. Sono qui, in mezzo a una strada. Perché non ci hanno avvisati per tempo?».

Una giovane donna siede, stremata, di fianco alla sua piccola appena nata nell’ospedale di Goris. Ha partorito mentre fuggiva dai soldati azeri. Le contrazioni le sono arrivate in auto mentre era ferma in coda in mezzo a centinaia di altre automobili in fuga. «Dove crescerò mia figlia? In quale città, in quale casa? Non ne ho idea, non so cosa faremo, non so che cosa il futuro ha in serbo per noi». Nessuno dei 120 mila armeni del Nagorno-Karabakh lo sa.

Aggiornamento: l’articolo è stato modificato per aggiornare il numero dei profughi.

@LeoneGrotti

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