Il mosaico della guerra in Medio Oriente si allarga

Le missioni di Blinken e Borrell per pensare a una soluzione per il dopoguerra, la crisi umanitaria a Gaza, gli scontri in Cisgiordania, la possibile offensiva in Libano, il pericolo Iran. Anche per Israele la situazione sta diventando insopportabile

Un soldato israeliano indossa una giacca con il disegno di un bersaglio con al centro il leader libanese di Hezbollah Hassan Nasrallah durante operazioni di artiglieria al confine tra Libano e Israele (foto Ansa)

«La cornice del mosaico è troppo piccola, sono troppe le tessere. O si allarga la cornice o si riducono le tessere», dice a Tempi una fonte dell’intelligence israeliana commentando la situazione in Medio Oriente dopo l’ultima riunione del gabinetto di guerra israeliano e gli incontri tra governo e servizi segreti che hanno visto un duro scontro tra i militari e i leader dei partiti ultrasionisti. I quali accusano i vertici dell’esercito di non aver saputo difendere i civili il 7 ottobre (è stata aperta una inchiesta sui ritardi nell’intervento delle forze di sicurezza durante l’invasione di Hamas, che ha massacrato la popolazione cogliendo di sorpresa i militari).

Il complicato mosaico che Israele vuole completare

Gli ultranazionalisti hanno proposto di ridurre le tessere palestinesi, e parlano di una emigrazione forzata verso il Congo, o nel Sinai egiziano. Il premier Benjamin Netanyahu ha tagliato corto escludendo una ipotesi del genere, anche perché i palestinesi di Gaza non accetteranno un’altra Naqba (una “catastrofe”, come viene chiamata l’emigrazione seguita alla guerra del ‘48 che portò alla diaspora di metà della popolazione araba) e l’Egitto ha già schierato i carri armati al valico di Rafah per impedire che il flusso dei profughi dilaghi oltre la Striscia.

Così Israele deve per forza comporre un mosaico che impone contemporaneamente di continuare le operazioni militari fino alla resa di Hamas, salvare gli ostaggi ancora in mano ai terroristi, instaurare a Gaza un governo che garantisca la sicurezza israeliana e impedisca la rinascita e il riarmo delle fazioni palestinesi che rifiutano accordi con Israele, mettere al sicuro il confine con il Libano, eliminare fisicamente tutti i capi di Hamas, o arrestarli, sapendo che molti di loro sono rifugiati in diversi paesi del Medio Oriente. Compreso l’Iran, il cui riarmo atomico continua ad essere il maggior pericolo per Israele.

L’arrivo di Blinken e le ipotesi sul dopoguerra

Diventa emblematico il caso di Al Arouri, numero due di Hamas, ucciso il due gennaio da un missile lanciato da un drone a Beirut, dove aveva una base protetta dalle milizie di Hezbollah. L’Iran stesso lo ha celebrato come martire e il leader di Hezbollah lo dipinto come il legame ideale tra le maggiori forze anti israeliane cioè Hamas, Hezbollah e Iran. Si sa che Al Arouri aveva trovato rifugio in altri paesi, tra cui la Turchia, che non nasconde i propri sentimenti anti israeliani pur facendo parte della Nato, l’alleanza atlantica in teoria vicina a Israele.

Proprio dalla Turchia inizia il viaggio del segretario di stato americano Antony Blinken, che per la quarta volta dal 7 ottobre fa tappa in Grecia, Turchia, Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele, Cisgiordania ed Egitto. Parlerà degli aiuti umanitari, ma anche della campagna militare in corso, cercando di convincere Israele a limitare i bombardamenti per risparmiare la popolazione civile, e valuterà la possibilità di far tornare i profughi gazawi al Nord, riprendendo i colloqui per la liberazione degli ostaggi, e soprattutto cercare di guardare al futuro per impedire che il conflitto si allarghi.

L’ultimo obiettivo, la soluzione per il dopoguerra è il più arduo, ma senza questa prospettiva è impossibile che la guerra finisca. E le tregue e i cessate il fuoco umanitari non hanno mai retto, se non per poche ore.

La proposta di Israele per il futuro di Gaza

Blinken sembra aver colto il messaggio: le tessere non si possono ridurre e bisogna allargare la cornice, coinvolgendo tutti i paesi dell’area in una soluzione il più possibile stabile, da cui Israele si senta garantito.

Una proposta è venuta dal ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant: «Non sarà Israele a governare la Striscia di Gaza una volta conclusa la guerra contro Hamas», ha detto, «ma sarà piuttosto un’istituzione palestinese a farlo».

«Hamas non governerà Gaza, Israele non governerà i civili di Gaza. I residenti di Gaza sono palestinesi, quindi le organizzazioni palestinesi saranno al comando, a condizione che non ci siano azioni ostili o minacce contro lo Stato di Israele», si legge in una nota del ministero che non specifica quali istituzioni palestinesi dovrebbero prendere il controllo dell’enclave. Netanyahu però ha più volte detto di non avere intenzione di cedere il controllo della Striscia di Gaza all’Autorità nazionale palestinese (Anp). Almeno alla sua attuale leadership che non ha il sostegno dei palestinesi né la fiducia di Israele e il cui presidente, Abu Mazen, ha 87 anni.

A Gaza due milioni di civili ridotti alla fame

Intanto i bombardamenti su Gaza e gli scontri in Cisgiordania non si fermano: ancora morti tra i civili a Khan Yunis e Rafah. Chiaro l’intento di Israele: dopo essere entrato con le forze di terra al nord ora vuole spezzare la Striscia colpendo il centro. Dividere il territorio palestinese. Ma anche al nord i combattimenti continuano casa per casa e cresce il numero dei soldati israeliani morti. Le famiglie dei militari caduti e degli ostaggi premono sul governo.

Quello che sta accadendo è insopportabile per i due milioni di civili gazawi ridotti alla fame, senza casa né cure sanitarie, ma anche per gli israeliani. Sono centomila i rifugiati dal nord di Israele per sfuggire ai colpi di razzi e bazooka di Hezbollah che fino ad ora, nonostante le minacce del loro leader Hassan Nasrallah, hanno in qualche modo limitato gli attacchi continuando però a tenere impegnato l’esercito israeliano e sotto tiro i villaggi e i kibbutz dell’alta Galilea.

La prospettiva di un’offensiva di Israele in Libano

La prospettiva di una offensiva di terra nel sud del Libano preoccupa i vertici militari: un’altra guerra combattuta in mezzo alla popolazione civile libanese contro i ben armati e organizzati Hezbollah, che hanno costruito una rete di cunicoli e tunnel ben più estesa di quella di Gaza, apre scenari spaventosi.

Israele non vuole ripetere la guerra del 2006, né le occupazioni del Libano iniziate nel 1982. La forza di sicurezza dell’Onu, l’Unifil, che schiera diecimila soldati (1.200 dei quali italiani), ha le mani legate, e invano ha chiesto che vengano riviste le regole di ingaggio. Una guerra in Libano vedrebbe nuovi massacri e dovrebbe fare i conti con la situazione di un paese senza leadership politica né economica, che ospita, su 4,5 milioni di abitanti, due milioni di profughi (il 48 per cento minori, secondo una valutazione della Cooperazione italiana) sparsi in 12 campi dell’Onu e in decine di bidonville dove trovano da vivere lavorando a basso prezzo nei campi.

Mezzo milione sono palestinesi, e un altro milione mezzo sono siriani (ai quali non è riconosciuto lo status di rifugiati e che di conseguenza non hanno diritto agli aiuti ufficiali delle nazioni Unite). I siriani non hanno nessuna intenzione al momento di tornare al loro paese, devastato dalla guerra tra il governo di Assad, l’Isis, i curdi e le altre fazioni armate di volta in volta divise tra loro o alleate.

L’attesa per le mosse di Cina e Russia dopo Usa e Ue

In Libano arriva l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: «La missione – spiega il Servizio di azione esterna dell’Unione europea in una nota – sarà un’occasione per discutere tutti gli aspetti della situazione dentro e intorno a Gaza, compreso il suo impatto sulla regione, in particolare la situazione al confine israelo-libanese, nonché l’importanza di evitare l’escalation regionale e di sostenere il flusso di assistenza umanitaria ai civili, che l’Unione europea ha quadruplicato a 100 milioni di euro».

Borrell, come Blinken, cerca di ampliare la cornice per farci rientrare le tessere e comporre il mosaico se e quando si comporrà il disegno finale. Unione Europea e Stati Uniti si sono mossi, pensando anche alle prossime rispettive elezioni. Resta da vedere cosa faranno la Russia (che ha basi importanti in Siria), e la Cina (che ha inserito prepotentemente le sue pedine nello scacchiere mondiale).

L’azione di Hamas il 7 ottobre ha scoperchiato il vaso di Pandora: una azione che oggi, si scopre, era stata prevista in tutti i dettagli da oltre un anno dai servizi segreti israeliani. Il governo aveva giudicato l’allarme inattendibile. Il rapporto ora è stato pubblicato dai media israeliani ed anche con questo Netanyahu deve e dovrà fare i conti.

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