Insegnanti cristiani, cos’è per voi la missione?

È una parola che si intende ancora nel senso datole dal suo inventore evangelico o bisogna intenderla come "capacità di includere tutto il diverso"?

Ripartiamo dal bel titolo riservato all’intervento di Luca De Simoni (22 febbraio scorso): Per investire nella scuola, ripartiamo dal “chi”. Pur concedendo al neo presidente del Consiglio di aver ben chiaro in tema di educazione il cosa e il come, De Simoni sottolinea coraggiosamente che «manca una riflessione sul soggetto che in una società moderna e plurale deve occuparsi di educazione». E bravo De Simoni! Ma mi domando: siamo tutti d’accordo (noi cristiani) che questo sia il punto essenziale della questione? E, soprattutto, abbiamo una visione univoca nel riferirci a un identikit dell’insegnante?

Qui si rischia di essere accusati di integralismo, ma siccome non mi importa nulla, vado a chiarire. In una lettera al Corriere della sera (10 gennaio scorso) un gruppo di insegnanti valorizza questa affermazione di Pasolini: «Se qualcuno invece ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare». Commentano giustamente che «non si educa con i discorsi, si educa con l’essere […], è il nostro esserci a offrire una provocazione all’ inquietudine attenta o al disinteresse svogliato dei ragazzi». È o no evidente che con la parolina “essere” si evoca il possesso di una precisa antropologia? E si è d’accordo che, nel caso si tratti di quella cristiana, la si deve coniugare con la parola “testimonianza”, che vuol dire non aver vergogna di manifestare il desiderio che Cristo sia riconosciuto come il senso della vita; raccordare con la parola “libertà”, necessaria perché la testimonianza arrivi fino al martirio; e infine con la parola “autonomia” che è semplicemente la concretezza della responsabilità? Tutti poi sappiamo che un’ideologia abita nel cervello (quando c’è) ma si manifesta inesorabilmente nel giudizio che fa nascere parole e decisioni…

Mi devo interrompere un attimo… perché mi offrono in questo istante la lettura del tablet. Si tratta di uno sfogo di Luigi Amicone (“C’abbiamo già il Covid, vogliamo pure la peste dell’odio in salsa Lgbt?”, 10 marzo):

«È pazzesco. Ma succede anche in Italia. Si radunano intorno a una scuola pubblica paritaria e procedono come certi indù del Madhya Pradesh, dove essere cristiani, cioè persone libere, può costare fino a 10 anni di carcere. Questi però non sono indù estremisti. Sono solo Lgbt fissati. Succede in quel di Bergamo alla scuola “La traccia” di Calcinate”».

Che coincidenza! Ci rende certi che esistono ideologie capaci di giustificare perfino il “mestiere” di sfasciare l’altrui libertà. Devo riprendere fiato. In un incontro del 2007 (14 anni fa) con insegnanti cristiani veniva detto: «Adesso c’è una opportunità enorme per tanti di voi di entrare nella scuola statale… Dico solo che questa è un’occasione missionaria per tutti noi… A cosa ci richiama ci richiama questa possibilità? Io dico: non abbiamo altro criterio che la missione». Perfetto. Allora domando agli insegnanti cristiani se la parola “missione” la si intende ancora nel senso datole dal suo inventore evangelico o se adesso bisogna intenderla come “capacità di includere tutto il diverso”. Citare Pasolini può andar bene per farci ridere di quelli della Lgbt, ma per sentirmi tranquillo a proposito di missione non mi basta neanche conoscere a memoria il Rischio educativo. A dirla tutta non mi sento mai tranquillo perché ogni volta che vado a Messa la liturgia mi fa dire col Gloria: «Tu solo il Santo, Tu solo il Signore, Tu solo l’altissimo Gesù Cristo» e una vocina mi sussurra: «Villa, sembri distratto! Stai, per caso, immaginando un personaggio “diversamente vissuto”?».

Devo spiegarmi meglio? Ci provo rileggendo un intervento sul Corriere della sera dell’1 marzo a firma del prof. Alessandro D’Avenia (“Ogni giorno vale la pena”): è la giornata dei “Giusti dell’umanità” e D’Avenia deve spiegare le radici delle parole nella cultura ebraica dove “giusto” è l’uomo capace di distinguere «il Bene dal male e di assumerne la responsabilità» e dice: «Per questo motivo amo (dice proprio amo!) le strane parole di Gesù nel sesto capitolo di Matteo…». Non è un monaco integralista, certamente è uno che non ha “vergogna” di Cristo! Agli insegnanti che non vogliono riconoscersi nella categoria dei cristiani, domando se il senso delle parole che ho usato (antropologia, libertà, autonomia, responsabilità) si può ancora desumere dal vocabolario della lingua italiana in uso nelle scuole o se deve essere modificato in base a un pensiero “unico e politicamente corretto”.

Foto Taylor Wilcox on Unsplash

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