Indonesia. Attentati a Jakarta: la paura dell’Isis e le difficoltà dell’antiterrorismo

È difficile controllare 250 milioni di persone e 17 mila isole, ma il paese musulmano più popoloso al mondo aveva ottenuto successi importanti

Almeno sette persone sono rimaste uccise oggi in una serie di attentati terroristici nel centro della capitale indonesiana Jakarta. Sei esplosioni e molti spari si sono uditi nella zona vicina al quartier generale dell’Onu e a negozi occidentali a partire dalle 10:30 del mattino (ora locale). Cinque delle sette vittime erano terroristi.

TERRORISMO ISLAMICO. Nonostante a dicembre siano stati dispiegati 150 mila uomini, tra soldati e poliziotti, a protezione dei principali luoghi pubblici per timore di attentati e nonostante l’arresto a dicembre di nove sospetti terroristi che pianificavano un «concerto», l’Indonesia, il paese musulmano più popoloso al mondo, si ritiene da tempo immune dalle forme più violente di terrorismo sperimentate in passato.

JEMAAH ISLAMIYAH. Negli ultimi anni il Distaccamento 88, la speciale élite antiterrorismo, era riuscito a indebolire notevolmente Jemaah Islamiyah (Ji), il gruppo terrorista islamico transnazionale nato in Indonesia che ha sempre avuto come obiettivo quello di edificare uno Stato islamico nel Sudest asiatico. In modo analogo agli attentatori europei che si sono fatti le ossa combattendo il jihad con l’Isis in Siria e Iraq, gli uomini di Ji erano diventati esperti di armi e terrorismo combattendo negli anni ’90 in Afghanistan.

BALI 2002 E JAKARTA 2009. Il gruppo, con cellule operanti tra Thailandia, Filippine, Singapore e Malaysia, è responsabile degli attentati di Bali nel 2002, dove morirono 202 persone. Dopo aver arrestato la maggior parte dei responsabili di Ji, l’Indonesia ha ucciso o imprigionato tutti i responsabili degli attentati del 2009 a due famosi hotel di Jakarta, il JW Marriott e il Ritz-Carlton. Noordin top, ex membro di Ji, ideatore dell’attentato, e i suoi uomini sono stati tutti neutralizzati.

CACCIA A SANTOSO. Da allora l’antiterrorismo indonesiano si è concentrato soprattutto sulla cattura di Santoso, l’attuale ricercato numero uno del paese e leader del Mujahidin Indonesia Timur (Mit), che ha fondato un campo di addestramento terroristico a Poso nella provincia Sulawesi centrale dove un conflitto tra cristiani e musulmani ha causato la morte di oltre 1.000 persone tra il 1998 e il 2002. Santoso, responsabile di diversi attentati minori negli ultimi anni, ha giurato l’anno scorso fedeltà allo Stato islamico, così come Abu Bakar Bashir, leader spirituale di Ji condannato nel 2011 a 15 anni di carcere.

«CENTRO DI RECLUTAMENTO». Nonostante i successi dell’Indonesia nel campo dell’antiterrorismo, è difficile controllare un paese di oltre 250 milioni di persone composto da circa 17 mila isole e negli ultimi quattro anni più di 800 indonesiani sono partiti a combattere per l’Isis in Siria, secondo le autorità. Molti di loro sono tornati e a dicembre il ministro della Difesa di Singapore ha denunciato il pericolo che «il Sudest asiatico diventi un centro di reclutamento per l’Isis».

STATO ISLAMICO. Hugh White, professore di Studi strategici all’Università nazionale australiana ed esperto di terrorismo, ha dichiarato di recente al Jakarta Globe che «è assurdo pensare che l’Indonesia possa essere conquistata dall’Isis. Certo, è nel loro interesse cercare di destabilizzare il paese». Ancora non è chiara l’identità degli attentatori di oggi ma il fatto che lo Stato islamico abbia sbandierato che un’intera unità in Siria è composta solo da miliziani provenienti da Indonesia e Malaysia, la Katibah Nusantara, non è di buon auspicio.

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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